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Orecchio bionico, l’esperto: “Protesi sempre più sofisticate. Il futuro è nell’intelligenza artificiale”

La sordità profonda è una condizione caratterizzata da una totale perdita dell’udito. Ma grazie agli importanti progressi tecnologici degli ultimi anni, è oggi possibile ripristinare l’udito nei pazienti che l’hanno perduto o nei bambini nati con sordità congenita. L’impianto cocleare, noto anche come orecchio bionico, ne è un esempio. Si tratta di una protesi impiantabile che sostituisce di fatto la funzionalità di un organo, appunto l’orecchio, perché in grado di captare i suoni, convertirli in impulsi elettrici ed inviarli come tali direttamente al nervo acustico.

La corretta applicazione di questo dispositivo medico, indirizzato a quelle persone che non hanno giovamento dalle protesi acustiche tradizionali, richiede però un approccio multidisciplinare e il coinvolgimento di servizi di alta specializzazione. Per saperne di più l’agenzia Dire ha intervistato Giorgio Balsamo (foto), responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Otorinolaringoiatria e del Centro Impianti Cocleari dell’ospedale Sant’Eugenio di Roma, riconosciuto dalla Regione Lazio come centro di riferimento per questa tipologia di impianti.

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– Dottor Balsamo, intanto quanto è diffuso tra la popolazione il calo dell’udito?
“Il calo dell’udito è comune e può colpire persone di tutte le età. Circa il 15-20% degli adulti hanno un certo grado di perdita uditiva, che va da lieve a grave, in aumento fino ad oltre il 50% in età superiore ai 75 anni. I bambini sono comunemente colpiti, anche se in questa fascia di età la causa è di solito un accumulo di catarro o un infezione dell’orecchio medio, un problema congenito o acquisito durante l’infanzia durante una malattia virale. La perdita dell’udito può essere molto debilitante in quanto interferisce con la normale comunicazione con le altre persone nelle attività quotidiane”.

– La tecnologia oggi viene in aiuto a questi pazienti. Ma che cos’è l’orecchio bionico?
“È una protesi elettronica che non dà una amplificazione del suono come accade per le protesi tradizionali, ma ha la capacità di sostituire completamente la funzionalità dell’orecchio, stimolando direttamente il nervo. La protesi è impiantabile in tutti quei pazienti che hanno sordità gravi o sordità che non giovano dall’utilizzo della protesi acustica tradizionale. Nelle nuove Linee guida c’è inoltre una nuova e importante indicazione: oggi a poter usufruire dell’impianto sono anche i pazienti affetti da sordità monolaterale, per cui anche la persona che ha perdita di udito in un solo orecchio, impiantando la protesi, recupera un’ottima funzionalità”.

– Quali sono i pazienti che possono accedere al vostro Centro e qual è l’iter da seguire?
“Il nostro Centro, il primo legato ad una realtà non universitaria, è nato un anno fa e nel febbraio scorso la Regione Lazio lo ha riconosciuto ufficialmente. Ci occupiamo di pazienti adulti ed eseguiamo un impianto al mese. I pazienti possono accedere attraverso una classica visita ambulatoriale in ospedale, quindi vengono indirizzati all’audiologo e poi al Centro stesso. Il nostro punto di forza è la multidisciplinarietà: l’otorino, il chirurgo, l’audiologo, l’audiometrista e, in alcuni casi particolari, lo psicologo clinico lavorano tutti insieme per arrivare ad una valutazione globale e alla decisione di impiantare o meno la protesi nel paziente. Il gruppo di esperti continuerà a prendersi cura di lui a vita, in quanto il paziente impiantato dovrà sottoporsi periodicamente a dei controlli e avrà la necessità di sostituire nel tempo parti della protesi oppure di regolazioni”.

– L’intervento ha sempre successo?
“Tendenzialmente sì, ma la riuscita dell’intervento, quindi di riportare l’udito alla normalità, dipende da molti fattori, per esempio da quanto tempo il paziente è rimasto senza udito o per quanto tempo ha utilizzato le protesi negli anni; oppure se il paziente è diventato sordo da bambino a seguito di una meningite o di un altro grave problema, ma anche se ha problemi di diabete. Quello che possiamo senz’altro dire è che l’impianto offre più vantaggi rispetto alle tradizionali protesi”.

– Al momento il Centro impianti cocleari del Sant’Eugenio non è aperto anche ai bambini con problemi uditivi…
“Gli adulti sono pazienti tendenzialmente normoconformati, mentre spesso i bambini con deficit uditivi hanno problematiche di natura genetica o malformativa, per cui in questi casi è fondamentale avere la figura del genetista che collabori con la struttura oltre alla presenza, specialmente per i bambini molto piccoli, della terapia intensiva pediatrica. È giusto che i bambini vengano impiantati in strutture in cui c’è la possibilità di seguirli a 360 gradi, come accade al Bambino Gesù”.

– Parliamo di pazienti con acufene: è possibile con un impianto cocleare migliorare questo fastidioso disturbo?
“L’acufene non sempre è abbinato ad una perdita di udito, ma in molti acufeni c’è una perdita uditiva. Nei pazienti che hanno una grave perdita uditiva sui toni acuti, cioè che generano rumori importanti legati alla perdita di udito, l’acufene può essere allora migliorato con l’utilizzo di un impianto cocleare”.

– Quale sarà il futuro per gli impianti cocleari?
“Certamente migliorerà sempre di più la qualità del segnale. L’impianto ha un microfono che cattura i suoni dall’esterno, i quali vengono elaborati e inviati ad elettrodi all’interno dell’orecchio. Quando l’elettrodo viene inserito, il segnale viene trasformato in digitale, come se si trattasse di un cd, e letto dal nervo acustico. Tale stimolazione con gli anni diventa sempre più precisa, tanto è vero che oggi alcuni pazienti riescono ad avere un buono ascolto anche della musica. Un tempo questo era impensabile. Ma non solo: pensiamo allo sviluppo legato all’intelligenza artificiale, che permetterà agli impianti di sfruttare diversi algoritmi e quindi al paziente di ricevere stimolazioni sempre più sofisticate, come la comprensione dell’ambiente e l’identificazione dei rumori di fondo”.

Redazione Nurse Times

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