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Cardiologia, risultati di nuovi studi presentati al Congresso ANMCO

Nel corso del 55° Congresso Nazionale di Cardiologia dell’ANMCO, il più importante evento di cardiologia in Italia, che si è svolto a Rimini nei giorni scorsi, sono stati presentati gli attesissimi risultati di nuovi studi.

Studio BRING-UP Prevenzione

“Il BRING-UP Prevenzione – dichiara il prof. Furio Colivicchi, Past President ANMCO e Direttore Cardiologia Clinica e Riabilitativa dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma – ha finora incluso 4.790 pazienti provenienti da 189 centri cardiologici distribuiti su tutto il territorio nazionale. Si tratta di pazienti con storia di pregresso infarto o malattia coronarica o malattia ostruttiva degli arti inferiori o patologia cerebrovascolare”.

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“Da un’analisi preliminare dei dati raccolti, l’età media di questa popolazione è 67 anni ed il 20% è di sesso femminile. Dati allarmanti sono quelli correlati alla prevalenza dell’obesità, il 20% di questi pazienti sono obesi, e del fumo di sigaretta, infatti il 21% è fumatore. In generale – prosegue Colivicchi – una percentuale significativa di pazienti, pur avendo una precedente diagnosi di malattia cardiovascolare, non ha una ottimale gestione di fattori di rischio, come appunto l’obesità e il fumo di sigaretta. Possiamo quindi migliorare la gestione di questa popolazione di pazienti. Fondamentale a tale scopo è la consapevolezza del rischio di nuovi eventi come infarto ed ictus ascrivibili a fumo, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia e obesità”.

“Inoltre, il 27% dei pazienti inclusi nello studio BRING-UP Prevenzione sono diabetici e nell’11% dei casi hanno una malattia renale cronica. Sebbene sia noto che il colesterolo è il fattore causale delle malattie aterosclerotiche, le statine, trattamento di prima linea per questi pazienti, erano impiegate inizialmente solo nel 68% dei pazienti prima della visita cardiologica – dice Colivicchi – Dopo il controllo cardiologico la percentuale è salita al 98%. Questa variazione è espressione del fatto che essere seguito da un cardiologo può migliorare significativamente il profilo di rischio e ridurre la probabilità di recidive ischemiche, come infarto o ictus”.

“I cardiologi possono quindi fare la differenza, migliorando il destino clinico dei pazienti. Ulteriori informazioni preziose verranno poi fornite da una dettagliata analisi della gestione terapeutica complessiva di questa popolazione di pazienti, che sarà disponibile alla conclusione dello studio”, conclude il prof. Colivicchi.

Studio BRING-UP 3 Scompenso

“Il BRING-UP 3 Scompenso – sottolinea il prof. Fabrizio Oliva, Presidente ANMCO e Direttore Cardiologia 1 dell’ospedale Niguarda di Milano – è uno studio giunto alla terza edizione, poiché nel contesto dello scompenso cardiaco sono già stati condotti due studi clinici con lo stesso approccio metodologico. In questo caso sono stati inclusi un totale di 5.203 pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco, provenienti da 186 centri di cardiologia”.

“Nel 74% dei casi si tratta di pazienti arruolati nel corso di valutazioni ambulatoriali e, dunque, con forme di scompenso cardiaco cronico. Il restante 26% dei pazienti è stato incluso alla dimissione di un ricovero per scompenso cardiaco e, quindi, di questi pazienti è possibile conoscere le modalità di gestione diagnostico/terapeutica nella fase acuta intra-ospedaliera – prosegue Oliva – L’età media dell’intera popolazione di pazienti inclusa nel BRING-UP Scompenso è di 70 anni ed il 21% è di sesso femminile. Globalmente il 60% dei pazienti con scompenso cardiaco inclusi nello studio hanno una funzione sistolica ventricolare sinistra ridotta. Lo studio, di cui si è conclusa la prima fase ha già fornito avere informazioni precise sulla modalità di gestione di questa popolazione di pazienti sia nel contesto ospedaliero che ambulatoriale”.

“Il 56% della popolazione ambulatoriale – continua il prof. Oliva – aveva un quadro di insufficienza cardiaca a funzione sistolica ridotta (HFrEF); in questi pazienti si confermano un età media inferiore e una minor rappresentanza del sesso femminile, con dati di comorbidità importanti, 30% diabete, 68% dislipidemia,35% insufficienza renale. L’eziologia più frequente nell’HFrEF è quella ischemica e circa il 40% di pazienti ha avuto una precedente rivascolarizzazione. Nei pazienti con funzione sistolica conservata le eziologie più frequenti sono ipertensione e valvulopatie”.

“Rispetto al passato tra gli esami di laboratorio vi è un maggiore ricorso alla valutazione dei peptidi natriuretici mentre la carenza marziale viene indagata in pochi pazienti. Il dato indubbiamente più significativo riguarda i trattamenti raccomandati dalle linee guidai; nell’HFrEF alla visita basale vengono implementate queste terapie e oltre il 96% di pazienti è in beta-bloccante, oltre il 90% in terapia con inibitore del RAAS, 80% in MRAs e l’84% in SGLT2i. Il 64% dei pazienti è in quadruplice terapia. Anche nell’ HFpEF la percentuale di pazienti in SGLT2i passa dal 25% al 50%. Nei pazienti ospedalizzati per scompenso acuto rispetto all’ingresso vi è un significativo incremento dei trattamenti raccomandati al momento della dimissione”.

“Questi importanti risultati – conclude il prof. Oliva – confermano la qualità della cardiologia italiana ma anche l’importanza della ricerca osservazionale ANMCO che porta all’implementazione dei trattamenti farmacologici che si sono dimostrati in grado di migliorare gli outcome clinici di questi pazienti nei grandi trial”.

Studio EYESHOT-2

Lo studio EYESHOT-2 è un registro nazionale multicentrico prospettico che ha arruolato in 4 settimane, nel mese di febbraio 2024, più di 2.800 pazienti consecutivi con diagnosi di infarto miocardico acuto ricoverati in 183 terapie intensive cardiologiche italiane.

Il prof. Leonardo De Luca, Vice Presidente ANMCO e Direttore Cardiologia del Policlinico San Matteo di Pavia, ha spiegato: “Lo studio è una fotografia sulla gestione intraospedaliera dei pazienti ricoverati per infarto del miocardio nel nostro Paese. L’età media della popolazione di pazienti con infarto arruolati nello studio è pari a 69 anni, il 37% con più di 75 anni ed il 27% di sesso femminile. Il 7.2% dei pazienti aveva meno di 50 anni (8.9% con STEMI e 5.6% con NSTEMI). Tra i pazienti con età inferiore a 50 anni, la maggioranza aveva una coronaropatia con interessamento di un solo vaso (53.2%) e il 9.5% presentava coronarie esenti da lesioni significative, nonostante la diagnosi finale di infarto”.

“Per quanto riguarda le forme di infarto che non richiedono una riapertura immediata della coronaria responsabile dell’infarto (NSTEMI), il ricorso precoce (entro 24 ore) all’esame coronografico è risultato più frequente nella popolazione di pazienti più giovani (età <55 anni) e nei centri con a disposizione una sala di emodinamica in situ, mentre è risultato indipendente dal rischio stimato di eventi avversi, che invece dovrebbe essere il primo motivo per scegliere una strategia precoce”, continua De Luca.

“Abbiamo registrato un aumento significativo del ricorso alla rivascolarizzazione percutanea (PCI) e una riduzione dei tempi dall’ingresso in ospedale alla PCI (soprattutto nei centri dotati di laboratorio di emodinamica che sono circa la metà delle cardiologie italiane); in generale, il 90% dei pazienti con infarto è stato sottoposto ad angioplastica con un tasso di casi trattati in maniera “conservativa” che è inferiore rispetto a quello registrato nella precedente edizione dello studio che risale al 2015”.

“Confrontando la mortalità intraospedaliera con lo studio condotto nel 2015 si è osservata una riduzione dal 2.3% all’1.8% nel NSTEMI e dal 3.9 al 2.8 nello STEMI (i tassi di mortalità intraospedaliera più bassi dei registri ANMCO condotti negli ultimi 25 anni) – conclude il prof. De Luca – Infine, è importante sottolineare che lo studio EYESHOT ha mostrato come, in generale, tutti i trattamenti raccomandati sono altamente prescritti. Scendendo nel dettaglio della terapia per la riduzione del colesterolo, rispetto allo studio condotto 9 anni fa, vi è un maggiore impiego della terapia di combinazione (statina + ezetimibe utilizzata in più del 60% dei pazienti dimessi), mentre nuovi farmaci per l’ipercolesterolemia come gli inibitori di PCSK9 sono prescritti alla dimissione solo nel 5% dei casi”.

Redazione Nurse Times

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