Numerosi studi hanno dimostrato che il ricovero in terapia intensiva (TI) trascorre nella maggior parte dei casi in stato di sedazione e in stato di coscienza, di cui i pazienti stessi riferiscono ricordi frammentari, confusi, mai rielaborati e superati. Queste condizioni possono sviluppare forti stati di disagio psicologico (Scragg et al., 2001), fino a scatenare la Post Intensive Care Syndrome (PTSD) (McIlroy et al., 2010; Fukuda et al., 2015; Hoffman et al., 2015; Harvey et al., 2016).
Tra gli interventi proposti per elaborare il momento del ricovero dopo la dimissione dalla terapia intensiva e prevenire i disturbi psicologici vi è la compilazione di un diario (ICU Diary). Si tratta, secondo la letteratura internazionale, di una narrazione scritta del ricovero del paziente in terapia Intensiva non di tipo clinico, ma discorsivo e soggettivo, condiviso dal personale sanitario e dai membri della famiglia.
Si tratta quindi di una registrazione della degenza del paziente in terapia intensiva: la vita quotidiana del paziente, le procedure, i trattamenti e le visite ricevute. In questo modo il paziente che ha subìto esperienze traumatiche in seguito a trattamenti invasivi, stati dolorosi, procedure diagnostico-terapeutiche e alla permanenza in luoghi con rumori, luci e spazi chiusi proprie dei reparti di area critica, può essere aiutato a rielaborare una parte della sua esperienza che altrimenti sarebbe perduta o ricordata in maniera confusa o distorta.
La compilazione e i modelli del diario variano di sito in sito, così come lo stile, il contenuto, i soggetti compilatori, il registro di scrittura. In genere non richiede molto tempo da parte del personale infermieristico e dei famigliari. Alcuni studi hanno dimostrato che sono sufficienti circa cinque minuti per turno (Nydahl et al., 2014) e che tale pratica consente al paziente di rimodellare l’esperienza vissuta e mantenere un legame con i propri cari durante il tempo perduto (Ewens et al., 2014).
L’uso del diario sembra permettere al paziente di ricomporre quel tassello della propria vita che andrebbe altrimenti perduto (Ewens, 2014) o ricordato in modo distorto. Questo intervento sarebbe in grado di prevenire ansia, depressione, disturbi del sonno, problemi di elaborazione mentale e mobilità limitata. Inoltre comporterebbe un basso costo sanitario (Combe, 2005; Egerod et al., 2007; Knowles, 2009; Jones, 2010; Nydahl et al., 2014; Fukuda, 2015).
Il diario narrativo evidenzia il coinvolgimento del personale che si prende cura dei pazienti e delle famiglie, sottolineando il loro contributo nel fornire informazioni circa il ricovero e le condizioni di salute. Infine una comunicazione efficace tra gli operatori sanitari e la famiglia aiuta a creare fiducia: facilitare il sostegno sociale delle famiglie e degli individui è una strategia importante per ridurre il disagio psicologico.
Sarebbero necessari lavori futuri su come i diari potrebbero influenzare le traiettorie di recupero dei pazienti dimessi e dei familiari in termini di risultati psicologici, sociali e comportamentali.
Anna Arnone
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