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Vaccini Pfizer-BioNTech, Moderna, AstraZeneca e Johnson&Johnson: differenze, efficacia, durata dell’immunità

In questo articolo cercheremo di fare chiarezza sui vaccini contro la Sar-Cov-2 finora disponibili ed approvati dall’Agenzia Italiana del Farmaco.

Analizzeremo le differenze, le dosi necessarie per raggiungere l’immunità, l’età raccomandata per la somministrazione, reazioni avverse e conservazione.

I vaccini di Pfizer-BioNTech e di Moderna sono molto simili e si basano entrambi su una nuova tecnologia a rna messaggero, sfruttando la capacità dell’rna stesso di codificare autonomamente la proteina virale per stimolare la risposta immunitaria. I vaccini prodotti da AstraZeneca e Johnson & Johnson, invece, utilizzano la tecnologia a vettore virale non replicativo, già utilizzato in passato per molti altri vaccini.

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Il vaccino Johnson & Johnson è un adenovirus innocuo (vettore virale), a cui è stata sostituita una piccola parte delle sue istruzioni genetiche con i geni della proteina spike presente nel SARS-CoV-2. L’adenovirus contenuto nel vaccino non può in nessun modo riprodursi o causare malattie.

Dosi necessarie

Tutti i tre vaccini finora approvati per l’Europa necessitano della somministrazione di due dosi per garantire una maggiore efficacia e una completa risposta immunologica. Quello che cambia è il tempo che intercorre tra la prima e la seconda dose: per Pfizer almeno 3 settimane, per Moderna almeno 4 settimane, per AstraZeneca almeno 12 settimane.

Il vaccino prodotto da Johnson & Johnson, a differenza degli altri è monodose.

Età

Al momento i bambini e ragazzi non sono inclusi nel programma vaccinale. In particolare, il vaccino di Pfizer-BioNTech è autorizzato per le persone di età superiore o uguale ai 16 anni, mentre Moderna, AstraZeneca e Johnson & Johnson solo per i maggiorenni. L’unico che presentava dei limiti per gli anziani era quello di AstraZeneca, ma proprio negli ultimi giorni è stato rimosso il vincolo per gli over 65, estendendo l’autorizzazione a tutti gli over 18.

Efficacia

Al di là dei numeri già discussi sulle percentuali di efficacia, occorre anzitutto chiarire che per tutti i vaccini la protezione non è immediata subito dopo la somministrazione, ma occorre aspettare qualche giorno per garantire che si raggiunga la massima efficacia del farmaco. Per ciò che riguarda Pfizer, dai test clinici emerge che la protezione massima si sviluppa solamente dopo 7 giorni dalla seconda dose. Moderna richiede un tempo per sviluppare l’immunità di 14 giorni dalla seconda dose, e come noto differisce di una frazione di punto percentuale appena rispetto a Pfizer. Per quanto riguarda AstraZeneca, invece, la protezione inizia più precocemente, circa 3 settimane dopo la somministrazione della prima dose.

Il vaccino Johnson & Johnson ha una efficacia nelle forme gravi arriva fino al 77 per cento dopo 14 giorni dalla somministrazione e all’85 per cento dopo 28 giorni dalla somministrazione. I dati attualmente disponibili hanno mostrato che nei soggetti over 65 non si è notata alcuna flessione nella efficacia.

Durata dell’immunità

Molti studi sono attualmente in corso per poter dare una risposta certa su questo punto, che è di fondamentale importanza per il prossimo futuro. Visto che la pandemia è iniziata da poco più di un anno e i vaccini sono disponibili da pochi mesi, è difficile fare previsioni a medio e lungo termine. Con i dati a oggi a disposizione, si può ipotizzare che la copertura per Pfizer-BioNTech e per Moderna sia di almeno 9-12 mesi dalla seconda dose. Per AstraZeneca le informazioni a disposizione sono meno, di conseguenza sappiamo solo che l’immunità permane per almeno 2 mesi, anche si spera che si riveli ben più duratura. Ancora più inconsistenti sono i dati a proposito della formulazione Johnson & Johnson, per cui occorre attendere i nuovi studi.

Reazioni avverse

I più frequenti effetti collaterali derivanti dalla somministrazione dei vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna sono quasi sempre di lieve entità: gonfiore nel sito di iniezione, dolori muscolari e articolari, stanchezza, mal di testa. In generale tutti questi effetti sono più frequenti dopo la somministrazione della seconda dose. Con un’incidenza molto minore (inferiore a 1 persona su 100) si può verificare un ingrossamento dei linfonodi, e solamente in qualche raro caso si sono riscontrate reazioni allergiche gravi.

Per quanto riguarda AstraZeneca, anche se spesso si è parlato di una maggiore frequenza di reazioni avverse, le analisi oggi a disposizione mostrano che si tratta comunque di effetti quasi sempre lievi o moderati. Magari fastidiosi, ma di breve durata, non pericolosi e che si risolvono da sé in qualche ora o in qualche giorno. Soltanto con un’incidenza inferiore all’1% si sono riscontrati casi più severi come la manifestazioni di eruzione cutanee, prurito, ingrossamento linfonodi e riduzione dell’appetito. Le reazioni allergiche gravi, in tutti i casi, si sono dimostrate ancora più rare, limitandosi a eventi eccezionali.

Per il vaccino J&J gli effetti collaterali nello studio erano generalmente lievi o moderati e sono stati risolti entro un paio di giorni dalla vaccinazione. I più comuni: dolore al sito di iniezione, mal di testa, stanchezza, dolori muscolari e nausea, elenca l’Agenzia europea del farmaco.

“La sicurezza e l’efficacia del vaccino – precisa – continueranno a essere monitorati, attraverso il sistema di farmacovigilanza dell’Ue e ulteriori studi da parte dell’azienda e delle autorità europee”. 

Conservazione

Il vaccino prodotto da Pfizer-BioNTech è da mantenere e trasportare a temperature molto basse, tra i -90°C e i -60°C. I vaccini di Moderna e AstraZeneca hanno una conservazione più semplice, a una temperatura compresa tra -25°C e -15°C nel primo caso e tra 2°C e 8°C nel secondo. Ulteriori differenze riguardano poi i tempi di conservazione in frigorifero e la resistenza delle dosi a temperatura ambiente, ma è la fase di trasporto quella che più fa la differenza dal punto di vista della logistica.

Per quanto riguarda il vaccino Johnson & Johnson, infine, non sono emersi particolari problemi di conservazione: il preparato mantiene la sua stabilità per 3 mesi se conservato a una temperatura compresa tra 2°C e 8°C, e addirittura per 2 anni se rimane a -20°C.

Redazione Nurse Times

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