La dott.ssa Giannone presenta la tesi “L’infermiere allo specchio: il ruolo che ho, il ruolo che sento di avere ed il ruolo che mi attribuiscono. L’importanza di auto-riconoscersi”

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La dott.ssa Mariangela Giannone, laureatasi presso l’Università degli Studi di Bari, presenta la sua tesi di Laurea in Infermieristica dal titolo “L’infermiere allo specchio: il ruolo che ho, il ruolo che sento di avere ed il ruolo che mi attribuiscono. L’importanza di auto-riconoscersi”

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Il 2020 è stato designato come “anno dell’infermiere” e gli infermieri come “risposta a molti problemi di salute del mondo”. In che modo l’infermiere può contribuire “alla salute per tutti” se guardandosi allo specchio, si chiede: chi sono?

Protagonista indiscusso della ricerca è l’infermiere, confuso ed in profonda crisi con sé stesso. Come nei più ordinari monologhi interiori davanti allo specchio, l’infermiere risulta incapace di riconoscersi in ciò che vede.

Che ruolo ho?

Un professionista sanitario, la cui identità professionale è dettata dal codice deontologico, dal profilo professionale e dalla formazione base e post-base. Un operatore consapevole, competente ed autonomo che fiero, guardia dietro di sè Florence Nightingale, la madre dell’infermieristica moderna, icona dei progressi portati avanti nel corso degli anni, perché consapevole che la professione può essere capita solo guardata indietro, ma va vissuta e coltivata guardando avanti.

Di primo acchito, appare un ritratto dai lineamenti ben definiti, circoscritto. Disappannando i vetri dell’apparenza, risulta, invece un’identità dai tratti marcati, prima abbozzati, poi ridefiniti, in continua revisione, in fieri.

Che ruolo mi attribuiscono?

Il ruolo dell’infermiere è, ancora oggi, fortemente stereotipato ed influenzato dal contesto storico in cui viviamo: un cocktail di eroismo, vocazione, erotismo, seduzione.

All’infermiere sono cuciti addosso molteplici costumi, quello di una donna disinibita e seducente con il camice bianco sotto al quale esibisce una lingerie in grado di far breccia nell’immaginario del paziente, quello dell’infermiere factotum, il tutto fare della sanità, quello di un eroe.

Dopo anni e anni di disorientamento, di affanno e di lotta per il riconoscimento, gli infermieri sono il fulcro del marasma che sta deperendo il mondo, sono citati come “angeli senza ali”, “salvatori”, sono applauditi e reclamati dai balconi, raffigurati immersi nei guanti, nelle tute, con mascherine dalle quali emergono occhi stanchi e disperati, calzari, visiera e scafandro, come se fossero dispositivi mai usati precedentemente. In questo momento più che mai sono riconosciuti, ringraziati e valorizzati.

E dopo? Cosa risponderanno alla fatidica domanda: “chi è l’infermiere?” Per molto tempo la risposta potrebbe essere “un eroe”, ma non ancora un professionista.

Forse l’infermiere non è riconosciuto come professionista perché egli in primis, non si sente ed agisce come tale?

Che ruolo sento di avere?

Nell’epoca della post-ausiliarietà, spesso gli infermieri non hanno capito quale sia il loro preciso ed autonomo contributo che offrono nella squadra di cura.  L’infermiere soffre di una “crisi d’identità”, di cui ne è il primo responsabile, in quanto radicata nell’ignoranza e nell’inconsapevolezza dell’io professionale, che si traduce in inadeguatezza ed incompetenza nella pratica clinica.

L’obiettivo primario di questo studio è comprendere il ruolo che l’infermiere sente di avere nel processo assistenziale ed il suo livello di soddisfazione. Gli obiettivi secondari, invece, sono quelli di percepire se gli infermieri già operativi siano consapevoli del ruolo che investono ed in che misura, secondo loro, potrebbero contribuire al miglioramento della professione.

Il fine è ricordare agli infermieri l’importanza di possedere, nel senso etimologico del termine, l’identità professionale, perché è ciò che lo definisce e distingue. verso il sentiero che ormai da troppo tempo hanno smarrito per costruire, in sé e nella collettività un’immagine e una consapevolezza diversa dell’essere Infermieri. Da ciò nasce l’importanza di auto-riconoscersi.

Per rendere evidente la frattura tra il ruolo che l’infermiere ha, il ruolo che gli viene attribuito ed il ruolo che sente di avere, è stato necessario revisionare la letteratura, per chiarire i fondamenti teorici e pratici che definiscono l’assistenza infermieristica ed effettuare un’indagine conoscitiva dell’io professionale.

L’indagine in questione è di tipo quali-quantitativo perché basata sull’osservazione dell’agire professionale, effettuata durante il tirocinio professionalizzante e sulla somministrazione di un questionario online.

La ricerca ci fornisce una fotografia della categoria infermieristica, che appare fortemente frammentata:

  • da una parte l’infermiere con tratti di identità che possono diventare oggetto di miglioramento: rigidità di pensiero, limitata autonomia nel giudizio, bassa autostima, scarsa partecipazione alla vita professionale. Un professionista che, a ventuno anni dall’abolizione del mansionario, si sente un collaboratore sanitario subordinato al medico che si limita ad attuare le disposizioni che gli vengono impartite; un operatore abituato a delegare ed a giustificare una procedura con “si è sempre fatto così” perché incapace di fornire una spiegazione diversa o perché ritiene inutile cambiarne lo svolgimento se produce lo stesso risultato;
  • dall’altra l’infermiere che partecipa al percorso di cura dell’assistito, identificando i bisogni, pianificando i percorsi degli assistiti e definendo gli interventi da attuare; un professionista autonomo e competente, che valuta lo status del paziente, comprendendo se possiede le conoscenze e competenze per gestirlo e che se necessario, chiede il supporto dei colleghi professionisti.

L’eterogeneità delle opinioni e del modus operandi degli infermieri è espressione di una mancanza di identità professionale, che attanaglia la professione, ostacolandone l’evoluzione.

 Il sapere infermieristico diventa una disciplina liquida, incapace di conservare la propria forma, precaria, che si adatta al vaso dell’organizzazione, al contesto ed al luogo in cui opera e l’infermiere, divorato dalla precarietà e dalla flessibilità, un tassello uguale a tutti gli altri tasselli.

Allo stesso tempo però è possibile scorgere un barlume di speranza nelle risposte degli infermieri: “il futuro della professione infermieristica dipende solo da me”. La maggior parte degli infermieri intervistati infatti, ritiene di poter contribuire attivamente allo sviluppo ed al miglioramento della professione e dell’organizzazione sanitaria.

 Innanzitutto, è necessario, che ci sia, all’interno della comunità infermieristica, una forte identità professionale ed una chiara consapevolezza su cosa significhi essere un professionista.

La sanità ha bisogno di appropriatezza, non del suo smantellamento o di divisioni, di conoscenza, non di personale “multitasking”, incapace di autodefinirsi e riconoscersi nei ruoli che gli vengono attribuiti, per ottenere competenza. Conoscenza e competenza sono requisiti necessari ma non sufficienti per definire l’identità professionale; ante tempore, infatti, l’infermiere deve appropriarsi della divisa che indossa, auto-riconoscersi in essa, affinché sia, si senta ed appaia “un professionista sanitario (…) che agisce in modo consapevole, autonomo e responsabile.

L’anno internazionale dell’infermiere può essere il giusto momento di partenza: la specializzazione richiama l’infungibilità, la non specializzazione la compensazione.

Mariangela Giannone

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Tesi “L’infermiere allo specchio: il ruolo che ho, il ruolo che sento di avere ed il ruolo che mi attribuiscono. L’importanza di auto-riconoscersi”

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