Stanchezza causata da turni irragionevoli, carriera appiattita e senza alcuna prospettiva di crescita, stipendi tra i più bassi d’Europa. Sono questi i motivi che spingono i giovani italiani a disertare le facoltà di Infermieristica, causando l’emorragia di personale sanitario dal pubblico al privato o spingendolo a cercare un impiego oltre confine, specie in Medio Oriente.
E che, paradossalmente, sono all’origine di altrettante emorragie sanitarie all’estero, soprattutto in India e Pakistan, regioni del mondo da cui proviene una buona parte di personale progressivamente reclutato (causa Covid, in deroga all’iter tradizionale italiano di riconoscimento della professione) per colmare le lacune interne al nostro Paese.
“Aiutiamoli a casa loro. Quante volte ho sentito pronunciare questa frase dalla politica. Fatto salvo quando la casa in questione è l’Italia. È una stravaganza che ci preoccupa e che purtroppo è destinata a peggiorare, a meno che le istituzioni finalmente si decidano a cambiare le cose”. A parlare è Foad Aodi, presidente Amsi (Associazione medici di origine straniera in Italia), di Umem (Unione medica euro mediterranea), membro della Fnomceo (Commissione salute globale) e docente universitario in Scienze infermieristiche e fisioterapia.
Aodi lavora da mesi per aiutare i tanti, troppi sanitari che vogliono trasferirsi all’estero, soprattutto negli Emirati Arabi. Un fenomeno che, se prima riguardava la professione medica, “da alcune settimane coinvolge soprattutto il personale infermieristico. Solo negli ultimi cinque mesi abbiamo ricevuto più di 10mila richieste da tutte le regioni e solo negli ultimi due giorni ci sono arrivate più di 250 richieste di andare a lavorare nei paesi del Golfo”.
“Negli ultimi cinque anni Amsi ha ricevuto 10mila richieste di personale estero da parte della sanità di tutte le regioni italiane, sia pubblica sia privata, che deve colmare carenze di organico – continua Aodi -. A voler pensar male, la sensazione è che sia in corso un pericoloso gioco al ribasso della sanità pubblica italiana, con possibili effetti devastanti sulla qualità del servizio. Basti pensare che, entro il 2030, la sola Arabia Saudita ci ha comunicato di aver bisogno di 88 mila infermieri e 44mila medici provenienti dall’estero”.
Dimonte registra una doppia ambiguità: “Al netto dei master che sono a pagamento, la laurea di primo livello e quella magistrale sono percorsi universitari pubblici le cui tasse sono pagate in base all’Isee e quindi con una buona, e a volte totale, compartecipazione dello Stato. Un iter formativo che iper specializza i nostri infermieri, che infatti sono molto ricercati all’estero, ma che non trova corrispondenza nel mondo del lavoro italiano dove non c’è progressione di carriera. E infatti durante i nostri open day, pensati per far incrociare domanda e offerta, cresce la presenza di agenzie di lavoro extra-europee, che tra l’altro incuriosiscono molti gli studenti”.
Redazione Nurse Times
Fonte: Corriere della Sera
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