“Ci sta a cuore chi cura”. Questo il claim 2024 di Exposanità, in programma a BolognaFiere dal 17 al 19 aprile. Tra i temi al centro della tre giorni, quello delle ricadute dell’autonomia differenziata sullo stesso Ssn, ma anche quello degli investimenti sul personale sanitario per frenare la fuga dal Servizio sanitario nazionale e garantirne la tenuta.
“La fotografia del 2021 scattata dal ministero della Salute – conferma Cartabellotta – rileva 715.959 unità di personale di cui 617.246 dipendenti del Ssn (86,2%), 80.615 dipendenti delle strutture equiparate a quelle pubbliche (11,3%), 9.978 universitari (1,4%) e 8.120 con altro rapporto di lavoro (1,1%). Complessivamente il ruolo sanitario ammonta al 72,2%. Rispetto alla media nazionale dei medici dipendenti (2,11 per mille abitanti) il Piemonte (2,07 per mille abitanti) e la Lombardia (2,01 per mille abitanti) si trovano al di sotto. L’Emilia-Romagna registra invece una posizione sopra media (2,27 medici ogni mille abitanti)”.
Il presidente GIMBE tiene inoltre a precisare: “Peraltro, essendo aggiornati al 2021, questi dati non ‘leggono’ la grande emorragia di personale dal Ssn avvenuta prevalentemente negli anni successivi, post-pandemia. Ecco perché, al di là dei singoli numeri, occorre investire sul personale sanitario, programmare adeguatamente il fabbisogno di tutti i professionisti sanitari, riformare i processi di formazione, valutazione e valorizzazione delle competenze secondo un approccio multi-professionale”.
“È proprio questo il punto – ragiona Cartabellotta-. Se ci soffermiamo sulle Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi (Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto), le maggiori autonomie potenzieranno indubbiamente le loro capacità di erogazione di servizi e prestazioni sanitarie, indebolendo le Regioni del Centro-Sud, incluse quelle a statuto speciale. Ad esempio, la richiesta di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del Ssn, oltre all’autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero-professionale, rischia di concretizzare una concorrenza tra Regioni con ‘migrazione’ del personale dal Sud al Nord”.
Tuttavia, avverte il presidente GIMBE, “l’ulteriore indebolimento dei servizi sanitari nelle Regioni meridionali rischia di avere un effetto paradosso anche su quelle del Nord con le migliori performance”. Infatti “la crisi di sostenibilità del Ssn oggi non consente nemmeno alle ricche Regioni del Nord di aumentare la produzione sanitaria oltre un certo limite”. Di conseguenza “un incremento della mobilità attiva verso queste Regioni rischia di peggiorare l’assistenza sanitaria per i propri residenti”.
E diversi momenti di Exopsanità saranno dedicati proprio al tema dei pronto soccorso. Il 17 aprile è in programma il workshop “Riorganizzare la rete dell’emergenza urgenza: proposte per l’evoluzione dei servizi”. E il 18 aprile: “Tecnologie e progettazione a supporto dei servizi di pronto soccorso; Il ruolo delle cure primarie per la prevenzione e la gestione della cronicità. Le esperienze più innovative delle aziende Usl; Le nuove sfide dell’ospedale 4.0. Ripensare il pronto soccorso, promosso da CNETO.
“Da un lato – dice Cartabellotta – c’è l’eccesso di afflusso di pazienti con patologie non gravi (codici bianchi e verdi) che potrebbero essere tranquillamente gestiti nell’ambito delle cure primarie e per i quali la Regione Emilia-Romagna sta sperimentando con successo i Centri di assistenza e urgenza (Cau). Dall’altro ci sono le difficoltà di deflusso verso i reparti di degenza, aspetto di cui si parla molto meno, ma che determina conseguenza più gravi. Infatti la lunga permanenza in pronto soccorso dei pazienti peggiora il loro stato di salute e aumenta la mortalità”.
Conclude il presidente GIMBE: “Il problema consegue all’impossibilità di trasferire questi pazienti nei reparti più idonei a trattare la loro patologia. Reparti che, a loro volta, non riescono a liberare posti letto per l’impossibilità di dimettere pazienti potenzialmente “dimettibili” dall’ospedale, ma che non trovano sul territorio un’adeguata rete di servizi (ospedali di comunità, assistenza domiciliare, strutture residenziali) in grado di assisterli per bisogni spesso più di tipo assistenziale che medico”.
Redazione Nurse Times
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