Errori medici: rischio maggiore con turni a rotazione antioraria

Rilanciamo un approfondimento sulla “sindrome dei turnisti” a cura di Luigi De Gennaro, psicofisiologo esperto nei disturbi del sonno, pubblicato su HuffPost.

Uno studio della Johns Hopkins University ha stimato che ogni anno, solo negli Usa, muoiono più di 250mila persone per errori medici. Si tratta delle terza causa di morte in assoluto negli Stati Uniti. Tra i fattori alla base dell’errore in medicina, alcuni sono legati alla sonnolenza, all’affaticamento e alle condizioni di lavoro stressanti alle quali gli operatori sono esposti. Uno dei principali fattori alla base della sonnolenza e della fatica dipende dal regime di turnazione su 24 ore. Come noto, il lavoro notturno si associa a una cronica alterazione del ritmo circadiano. Anche se è inevitabile che sempre maggiori attività lavorative necessitino di essere svolti sulle 24 ore, l’applicazione di principi circadiani può limitarne le conseguenze.

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Una nostraricerca pubblicata il 18 ottobre sulla prestigiosa rivista JAMA Network Open e coordinata dal Dipartimento di Psicologia della Sapienza, in collaborazione con il Santa Lucia IRCCS di Roma e con l’Università dell’Aquila, ha studiato per la prima volta in Italia gli effetti del lavoro a turni nel personale infermieristico italiano sulla base della rotazione oraria o antioraria dei turni. Lo studio ha coinvolto 144 infermieri provenienti da cinque ospedali del Centro e del Sud Italia, seguiti da luglio 2017 a febbraio 2020.

L’obiettivo era quello di verificare se il personale infermieristico che lavora in turni con rotazione antioraria (pomeriggio-mattino-notte) subisca conseguenze peggiori rispetto a chi lavori in turni con un regime orario (mattino-pomeriggio-notte). Per fare ciò sono state considerate la sonnolenza e l’affaticamento percepito alla fine di un turno, misurando parallelamente la performance psicomotoria degli operatori sanitari, somministrando loro un test computerizzato che misura fedelmente la diminuita vigilanza.

Avevamo già studiato il fenomeno dei turni notturni. In un primo studio avevamo dimostrato che il turno notturno si associa sia all’aumento di sonnolenza e fatica, che a consistenti riduzioni della performance in compiti di vigilanza psicomotoria. In un successivo studio abbiamo dimostrato che negli infermieri una cattiva qualità del sonno, alla quale sono esposti tutti i lavoratori a turni, finisce per peggiorare ulteriormente le performance psicomotorie notturne. In questo nuovo studio avevamo ipotizzato che la rotazione antioraria dei turni fosse associata a stanchezza e sonnolenza maggiori e, soprattutto, a ridotte misure comportamentali di attenzione costante.

Coerentemente con questa ipotesi, il nuovo studio ha dimostrato nel personale infermieristico che lavora in regime di turno antiorario un notevole peggioramento in tutte le dimensioni misurate. Effettivamente tutti i turnisti hanno un peggioramento di sonnolenza, fatica percepita e vigilanza psicomotoria associata al turno notturno, ma quelli inquadrati in un regime antiorario vanno incontro a un’amplificazione di queste conseguenze negative. 

Le implicazioni di tale studio possono aprire delle prospettive innovative per l’organizzazione lavorativa in ambito ospedaliero, nella direzione di spingere le aziende ospedaliere a riconvertire il regime di turnazione, quando antiorario. Ancora più ambizioso è l’obiettivo di ridurre le conseguenze negative dei turni notturni, per qualsiasi regime di turnazione. A tal fine stiamo pianificando uno studio che utilizzi occhiali per fototerapia da far indossare al personale infermieristico durante il turno notturno.

Sempre più segmenti del mondo del lavoro sono organizzati h24 e il periodo della pandemia ha ricordato a tutti che risorsa vitale per la collettività sia il personale medico e infermieristico. D’altra parte la cosiddetta sindrome dei turnisti, ovvero la costellazione di conseguenze negative dei turni, riduce la loro operatività nei turni notturni per fattori che la ricerca scientifica sta chiaramente dimostrando. È compito e missione di questa stessa ricerca abbandonare temporaneamente i laboratori e applicare le conoscenze ai contesti naturali, vitali per la collettività. Le conoscenze disponibili e le esperienze sperimentali accumulate ci permettono, forse e finalmente, di sviluppare contromisure che riducano tali effetti negativi.

Redazione Nurse Times

Fonte: Huffington Post

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