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D.M. 71/22 e questione infermieristica

Con la pubblicazione del D.M. 71/22 recante norme sulla la riforma dell’assistenza territoriale ispirata dal nuovo Patto per la Salute e aggiornata con le indicazioni e i progetti del Pnrr. Vede la luce una idea di assistenza territoriale davvero ambiziosa.

Difficile davvero criticare la visione nel suo insieme, pur essendoci alcuni punti di criticità che andrebbero meglio regolati e che dovrebbero essere considerati.

Per prima cosa il percorso che la richiesta del cittadino dovrebbe fare, infatti è prevista la segnalazione alla COT (centrale operativa territoriale) una ogni 100.000 abitanti, da qui una volta presa in carico ed avendo subito una prima valutazione la richiesta dovrebbe transitare per la centrale distrettuale, dove dopo un attenta valutazione finirà al servizio più idoneo.

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Già così a prima vista sembre un percorso un pochino tortuoso che andrebbe snellito, ricordo che oggi la richiesta finisce da parte dell’utente direttamente al servizio utile al bisogno richiesto.

Quindi si certamente bene avere un punto unico di raccolta che nel caso di bisogno complesso sia capace di coinvolgere più servizi in un’ottica di multidisciplinarietà e multiprofessionalità proattiva, ma questo non può rappresentare certamente per lo spirito stesso della riforma una ulteriore lungaggine burocratica che non snellisce l’iter.

Credo che questo aspetto in sede di attuazione vada valutato con molta attenzione e vada dedicata una seria analisi sulla catena di gestione per evitare il rischio che questa organizzazione diventi troppo farraginosa e si riveli espulsiva e non inclusiva come dovrebbe essere secondo il progetto.

Altro punto delicato sono le case della comunità (case della salute come si chiamavano appena tre mesi fa).

Ora concettualmente nulla da dire, ma resta da dire che dietro il concetto casa della salute/comunità è sotteso un paradigma concettuale che ne fa un avanguardia della salute nel territorio una sorta di presidio polifunzionale all’interno dei quartieri che presuppone il coinvolgimento della stessa popolazione.

In questo caso a mio giudizio non è espresso chiaramente questo ruolo e si da adito in sede di applicazione alla riproposizione economicista del vecchio poliambulatorio distrettuale con un semplice cambio di targa, mentre dovrebbe essere molto di più.

Nessun cenno alla ricerca epidemiologica sul territorio di competenza e di conseguenza nessuna possibilità di progettare servizi in base alle esigenze della popolazione e nessuna possibilità di progettare campagne di prevenzione mirate alle prevalenze di cronicità o di fragilità ad esempio o di indagine socio ambientale sulle cause delle prevalenze per favorire la prevenzione.

L’ospedale di comunità così come descritto mi sembra davvero molto riduttivo ed utile solamente in parte.

Bene avere un posto a gestione infermieristica dove per un breve periodo trattare pazienti stabili che necessitano comunque di ulteriore assistenza continuativa, ma immaginiamo anche un posto dove la massaia che si procura un taglio da suturare possa trovare un adeguato trattamento secondo i dettami del see and treat e ciò vale anche per tante altre situazioni minori che oggi gravano sui PS degli ospedali.

Se consideriamo la situazione disastrosa di questi ultimi e che una gran parte della questione è legata proprio ai così detti codici bianchi e verdi che li intasano a dismisura forse considerare di prevedere un ruolo nel trattamento di questi codici all’interno degli ospedali di comunità o al limite nelle case della comunità aiuterebbe di molto.

Sarebbe altresì utile utilizzare queste strutture anche come posto di stazionamento delle ambulanze della rete di emergenza territoriale (118) in questo modo si avrebbe una rete più capillare e diffusa nel territorio e potrebbero essere utilizzate qualora si presentasse un codice maggiore per il trasporto (magari concordato) in PS.

Infine e non da ultimo resta troppo lacunoso se non del tutto misconosciuto il rapporto stretto tra istituzione sanitaria e territorio in quanto espressione della popolazione, se l’obiettivo è portare la salute a casa del cittadino questo non può e non deve essere soggetto passivo.

Deve diventare soggetto attivo almeno nelle sue espressioni rappresentative altrimenti non si potranno attivare tutte quelle reti solidali così utili nella gestione della fragilità e della cronicità fallendo l’obiettivo dell’integrazione tra salute e territorio e tra socio/sanitario che pure il decreto enuncia come principio.

Detto questo resta ancora aperta e non affrontata la questione che l’applicazione di tutto ciò, che per sua natura resta un quadro generale.

Verrà demandata alle regioni perchè purtroppo in Italia non abbiamo un sistema di salute nazionale, ma tanti diversi sistemi regionali.

Quanto fallimentare fu questa scelta in termini di equità ed accessibilità ai sistemi sanitari non può essere disconosciuto ed è sotto gli occhi di tutti, oltre ad esser stato evidenziato drammaticamente dalla pandemia.

Capisco ed è ovvio che non può essere un D.M. a modificare questo assurdo approccio, ma pur tuttavia cosa accadrà quando i dettami del DM71 dovranno essere declinati sul campo dalle regioni?

Forse andava fatta a monte una rivisitazione politica di questo approccio dimostratosi fallimentare e come si dice sbagliare è umano perseverare è diabolico.

Resta poi del tutto aperta e assolutamente ancora inaffrontata la questione infermieristica perchè tutte queste belle cose senza infermieri non si possono fare e non si possono fare proprio perchè a questa fondamentale figura di raccordo tra salute e cittadino è di fatto affidato un ruolo infungibile e prioritario nella idea stessa di riforma fin qui tracciata.

Senza infermieri non c’è salute e questo non solo è stato ampliamente dimostrato, anche dalla pandemia se vogliamo, ma sopra tutto è scientificamente dimostrato da diversi studi pubblicati in diverse autorevoli riviste scientifiche.

Un ruolo quello dell’infermiere che presuppone grandi competenze sia cliniche che gestionali, ma anche di relazione ed educative.

Ruolo che la nostra comunità professionale ha ampliamente dimostrato sul campo e non solo di essere in grado di assumere ed espletare, ma è imprescindibile che venga messa nelle condizione di poterlo fare.

Sotto questo punto di vista appare particolarmente evidente che lo staffing ne condiziona in partenza l’assunzione di questo ruolo.

Vale la pena ricordare che il rapporto tra infermieri e popolazione è tra i più bassi di Europa

ed anche in sede ospedaliera ben al di sotto di quel rapporto di un infermiere ogni sei pazienti indicato dalla letteratura, arrivando a duplicarlo quasi sempre ed in alcuni casi a triplicarlo.

Appare abbastanza chiaro che realizzare questa riforma così ambiziosa ed affascinante sotto tanti punti vista sia necessario se non vitale intervenire sugli staffing infermieristici, ma è altrettanto chiaro che a causa delle politiche sanitarie e professionali degli ultimi 20/30 anni oggi di infermieri non ce ne sono.

Così come è altrettanto evidente che per averne almeno nel medio termine sia necessario affrontare e risolvere definitivamente la questione infermieristica,

Questa professione nobilissima, ma fin troppo disconosciuta e maltrattata negli ultimi 20 anni non è più una professione attrattiva per i giovani ed inoltre una buona parte dei giovani che arrivano alla laurea lo fanno per andare a lavorare poi all’estero dove possono contare su condizioni diverse e vantaggiose da ogni punto di vista.

Durante la pandemia gli infermieri erano i nuovi eroi, monetine e francobolli, cene consegnate nei reparti e canti ai balconi, tante pacche sulle spalle e dichiarazioni di politici, ma poi ora alla questione infermieristica hanno tutti girato le spalle e stiamo discutendo il rinnovo di un contratto già scaduto con i soliti due spicci concessi da un governo almeno miope se non volutamente cieco.

Per avere infermieri da assumere e colmare i baratri di staffing serve che la professione diventi attrattiva per i giovani e che i giovani restino ad esercitarla in patria.

Non ci sono vie di mezzo o si rende la professione più attrattiva oppure possiamo fare tutte le riforme che vogliamo, ma resteranno cattedrali nel deserto di una politica miope e fuori da un contesto di realtà che non può essere disconosciuta solo perchè fa comodo così.

Equiparare contrattualmente le professioni sanitarie al comparto della dirigenza medica e quindi con un contratto autonomo simile a quello dei medici con una valorizzazione reale delle competenze acquisite sia sul campo che tramite il percorso formativo post base.

Superare il vincolo di esclusività e portare gli stipendi al livello Europeo (vale la pena ricordare che oggi quelli Italiani sono tra gli ultimi in Europa) sono punti che al momento sono divenuti assolutamente irrinunciabili non solo per i professionisti.

Superare o ampliare almeno raddoppiandolo il numero d’accesso a infermieristica svincolandolo dalla facoltà di medicina e chirurgia e creando la facoltà di nursing e delle professioni sanitarie, riconoscendo così una dignità disciplinare alla professione.

Utilizzare come docenti che saranno indispensabili tutte le migliaia di infermieri con laurea magistrale sarà di fondamentale importanza.

Infine diventa altrettanto indispensabile il riconoscimento di un ruolo per la professione che già oggi le normative prevedono in parte, normative del tutto inapplicate e che vanno ampliate riconoscendo agli infermieri anche la possibilità di prescrivere.

Nel nostro paese strano, un qualunque cittadino può andare in farmacia ed acquistare autonomamente un farmaco, ma poi un infermiere non può autonomamente somministrare nemmeno un paracetamolo o una vitamina.

Nel nostro paese la prescrizione di un presidio per assorbenza o di un presidio antidecubito o di una medicazione avanzata per la cura delle lesioni cutanee deve essere fatta necessariamente da uno specialista, quando poi queste sono cose di uso comune degli infermieri.

Tutto questo è assurdo ed in più crea disagi agli utenti pertanto deve essere immediatamente affrontato e risolto anche in ottica della riforma sanitaria in atto.

Da ultimo, ma non per ultimo un accenno al percorso formativo che ormai va rivisto ed aggiornato alle sempre crescenti competenze richieste agli infermieri non può non essere affrontato. Sulla questione c’è già un dialogo aperto tra Ministero e FNOPI.

Certamente questo aspetto necessita di tempi un pochino più dilatati ed in questo momento di gravissima carenza di organici forse sarebbe opportuno mantenere il percorso simile, magari intervenendo sulla formazione post base con l’introduzione di una magistrale specialistica.

Mentre portare la laurea base da tre a quattro anni pur essendo assolutamente necessario, al momento rischia di allungare i tempi di immissione in ruolo dei nuovi professionisti quindi va fatto, ma con una attenta programmazione e con una certa progressione temporale.

In conclusione dobbiamo evidenziare quanto il nuovo modello di assistenza territoriale, pur soffrendo delle criticità di cui abbiamo parlato, sia un modello che con le opportune integrazioni può rappresentare un concetto nuovo e proattivo di gestire la salute pubblica già dalla casa dei cittadini rispondendo a principi di equità, uguaglianza ed accessibilità.

Insomma un passo in avanti rispetto al vuoto assoluto che il territorio sconta da sempre e di cui possiamo, tutto sommato, essere soddisfatti come cittadini e professionisti e dare atto almeno della visione politica, ma che senza l’impatto devastante della pandemia non avrebbe mai visto luce.

La politica, perchè è un problema di cui è responsabile la politica, si deve far carico di affrontare e risolvere una questione che si trascina da almeno due decenni e di fronte alla quale finora ha fatto finta di niente ed è la QUESTIONE INFERMIERISTICA perchè senza infermieri non c’è salute e senza infermieri non c’è futuro ed anche questa bella riforma sarà solo un altro pezzo di carta non applicato.

ANCHE QUESTO ANNO E QUESTO 12 MAGGIO GLI INFERMIERI NON HANNO PROPRIO NULLA DA FESTEGGIARE ED ANZI VEDONO ANCORA DISCONOSCIUTA LA LORO PECULIARE ED INDISPENSABILE PROFESSIONE E LE LORO INFUNGIBILI COMPETENZE.

A buon intenditor poche parole, noi lo abbiamo dimostrato. Ma la politica invece dopo le promesse da marinaio e le interessate pacche sulle spalle dove sta?

Angelo De Angelis

Angelo De Angelis

Diploma di INFERMIERE PROFESSIONALE presso Centro idattico Polivalente Pio Istituto ed Osperali Riuniti ROMA nel 1980 Dal luglio 1980 INFERMIERE presso ospedale S.Giovanni Roma strumentista in C.O. chirurgia generale, infermiere in pronto soccorso chirurgico,medico e successivamente cardiologio Dal 1990 infermiere in ambulanza B.L.S A.L.S CENTRALE OPERATIVA DAL 2008 INFERMIERE presso CENTRO DI ASSISTENZA DOMICILARE ASL RM1 accoglienza e supporto agli utenti e famigliari coordinamento e consulenza agli infermieri nel territorio Nel 2013 LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE INFERMIERISTICHE ED OSTERICHE presso università SAPIENZA DI ROMA

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