Lavorare duramente, ricevendo poche o nessuna gratificazione, fa male al cuore, letteralmente. Lo stress in ufficio, se non ricompensato adeguatamente, può avere gli stessi effetti negativi dell’obesità sulla salute cardiaca. Può cioè raddoppiare (49%) il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari.
A puntare i riflettori su un fattore di rischio spesso trascurato per il cuore è la Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), in occasione del 44° Congresso nazionale, in corso a Milano. La società scientifica rilancia uno studio condotto dall’Università Laval, in Quebec (Canada), recentemente pubblicato sulla rivista Circulation: Cardiovascular Quality and Outcomes, aggiungendo che in Italia il problema riguarda anche la categoria dei medici, soprattutto quelli che devono prestare servizi di reperibilità e urgenza, come i cardiologi interventisti.
In questo modo gli studiosi sono riusciti a misurare la tensione lavorativa e lo squilibrio tra fatica e ricompensa. Dai risultati è emerso che gli uomini che riferivano di aver sperimentato stress lavorativo o squilibrio tra sforzo e ricompensa avevano un rischio maggiore del 49% di malattie cardiache rispetto a coloro che non hanno segnalato le stesse condizioni lavorative.
“Sapevano da tempo che un lavoro stressante e una scarsa gratificazione possono avere un impatto negativo sulla salute del cuore, ma solo come fattori di rischio singoli – spiega Giovanni Esposito, presidente GISE e direttore della UOC di Cardiologia, emodinamica e UTIC dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli -. Il nuovo studio, invece, ha sottolineato per la prima volta l’enorme impatto della combinazione di questi due fattori, cioè lavoro duro e ricompensa bassa. I risultati evidenziano quindi l’urgente necessità di affrontare in modo proattivo le condizioni di lavoro stressanti, per creare ambienti più sani a vantaggio dei dipendenti e dei datori di lavoro”.
“Evidenze scientifiche suggeriscono che ci siano due modi principali in cui lo stress può danneggiare il cuore – aggiunge Francesco Saia, presidente eletto GISE e cardiologo interventista all’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Policlinico Sant’Orsola -. Il primo coinvolge il sistema simpatico e riguarda il controllo della pressione sanguigna e del restringimento dei vasi sanguigni. L’altro modo include l’attivazione del midollo osseo e il rilascio di cellule infiammatorie, che a loro volta portano all’infiammazione aterosclerotica e all’insorgenza di placche e trombi. Ma a fare male non è un singolo evento stressante, ma periodi prolungati di stress in combinazione con altri fattori di rischio”.
“Lo squilibrio tra impegno e ricompensa si verifica quando i dipendenti investono molto nel loro lavoro, ma ottengono in cambio ricompense, come stipendi, riconoscimenti o sicurezza del lavoro, insufficienti o non eque rispetto allo sforzo – precisa Esposito -. Considerando la notevole quantità di tempo che le persone trascorrono al lavoro, comprendere la relazione tra fattori di stress lavorativo e salute cardiovascolare è fondamentale per la salute pubblica e il benessere della forza lavoro”.
Conclude Esposito: “L’eccesso di lavoro è qualcosa che molti medici conoscono bene, compresi noi cardiologi interventisti. Turni infiniti e corse in ospedale per interventi d’urgenza sono all’ordine del giorno. Tutto questo a fronte di una scarsa remunerazione, insufficiente persino a coprire le spese vive per recarsi all’ospedale. Ed è paradossale che siano proprio i ‘medici del cuore’ a mettere a rischio il proprio, lavorando con abnegazione nonostante i pochi riconoscimenti”.
Redazione Nurse Times
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