Il dolore non ha età. Eppure otto italiani su dieci ignorano che i bimbi possono provare lo stesso dolore dei grandi, e più di uno su quattro pensa addirittura che la sofferenza sia un’esclusiva degli adulti. È il cosiddetto “bias della bua”, messo in luce da un’indagine demoscopica condotta da AstraRicerche per Zambon Italia.
Così, mentre gli italiani sottovalutano il dolore dei bimbi, quasi quattro adulti su dieci lamentano un dolore costante (almeno una volta a settimana), e si tratta in circa sette casi su dieci di un malessere talmente forte da impedire di svolgere le più semplici attività quotidiane, come lavorare (45%), pensare (38%) e muoversi (34%).
“Pensare che i bimbi non provino dolore è una falsa percezione molto diffusa – afferma Gianvincenzo Zuccotti, prorettore ai rapporti con le istituzioni sanitarie dell’Università Statale di Milano e direttore del Dipartimento di Pediatria dell’Ospedale dei Bambini ‘Buzzi’ -. L’esperienza ci mostra che purtroppo anche i più piccoli possono stare male, tanto quanto i grandi”.
Prosegue Zuccotti: “E’ un dolore da non sottovalutare, da un lato perché i bimbi possono avere difficoltà a spiegare l’entità e la tipologia del proprio malessere, dall’altro perché gli adulti, colti di sorpresa, possono farsi prendere dal panico e agire in modo irrazionale. In questo senso è positivo il fatto che, in caso di dolore pediatrico, la prima mossa degli italiani sia quella di consultare il pediatra. Ma allo stesso tempo, se la situazione lo richiede, è opportuno poter intervenire con farmaci specifici adatti all’età”.
Ma come reagiscono gli italiani di fronte alla sofferenza dei bimbi? Il sentimento prevalente è il dispiacere (40%), ma non di rado prendono il sopravvento anche ansia e preoccupazione (38%). “Quando il dolore colpisce gli adulti – commenta Zuccotti – si ricorre subito a un farmaco antidolorifico per ottenere un rapido sollievo, e raramente si consulta il proprio medico, mentre quando il dolore investe i più piccoli la prima mossa è senza dubbio chiamare o chattare col pediatra. Lo fa circa uno su tre quando il bambino è tra i sei e gli undici anni. È una scelta confortante, perché il pediatra è in grado di aiutare l’adulto a individuare la possibile causa del malessere, suggerendo come intervenire a seconda del singolo caso”.
Redazione Nurse Times
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