Coronavirus, studio Iss rivela ritardo nella diagnosi per gli stranieri

Il problema, emerso dai dati diagnosticati in Italia dall’inizio dell’epidemia fino al 19 luglio 2020, riguarda soprattutto coloro che provengono da Paesi poveri.

Uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), pubblicato sul numero di febbraio dell’European Journal of Public Health, rivela che i casi di coronavirus nei cittadini stranieri sono stati diagnosticati circa due settimane dopo rispetto ai casi italiani. Nell’articolo sono analizzati i dati del sistema di sorveglianza integrata coordinato dall’Iss, riferiti ai casi Covid-19 diagnosticati dall’inizio dell’epidemia in Italia fino al 19 luglio 2020: 213.180 casi totali, tra cui 15.974 (7,5%) si riferiscono a cittadini non italiani.

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Rispetto ai casi italiani, quelli stranieri hanno mostrato una maggiore probabilità di essere ricoverati in ospedale

e, una volta ospedalizzati, di essere ricoverati in terapia intensiva, con differenze più pronunciate in coloro che provengono da Paesi con basso HDI (Human Development Index). Infine è stato osservato un aumentato rischio di morte nei casi non italiani rispetto ai casi italiani, sebbene questa differenza non sia stata osservata tra i casi ospedalizzati. L’analisi ha tenuto conto delle differenze nelle caratteristiche demografiche, delle comorbidità preesistenti e del periodo di diagnosi, incluso un effetto di contesto per tenere conto delle differenze regionali nelle strategie e politiche sanitarie.

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