Valvola mitrale, innovativo dispositivo impiantato a Maria Cecilia Hospital

Grazie a una metodica percutanea il device permette di correggere, anche a distanza di anni dalla prima operazione, eventuali mutazioni della valvola, senza reintervento e con cuore battente.

A Maria Cecilia Hospital di Cotignola (Ravenna), ospedale di alta specialità accreditato con il Servizio sanitario nazionale, è stato eseguito il primo impianto in Italia (il secondo in Europa) di un nuovo dispositivo per la riparazione delle valvole mitrali cardiache danneggiate da infarto miocardico.

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Il dottor Alberto Albertini

“Nei pazienti che vengono operati quando la valvola mitrale è stata danneggiata da infarto miocardico vi può essere la necessità di un nuovo intervento dopo alcuni anni perché la valvola stessa può variare la sua forma nel tempo – spiega il dottor Alberto Albertini, responsabile del reparto di Cardiochirurgia a Maria Cecilia Hospital –. Questo nuovo dispositivo, attraverso un sistema di controllo da remoto, può modificare la sua forma adattandosi alle variazioni della valvola mitrale, senza necessità di un nuovo intervento”.

Hub chirurgico della Romagna e polo di alta specialità per la Cardiochirurgia, la struttura di Cotignola è uno dei centri a maggior volume nella chirurgia della valvola mitrale con oltre 25 anni di esperienza: ogni anno Maria Cecilia Hospital tratta circa 250 pazienti applicando le tecniche più innovative di riparazione valvolare mitralica. Si stima, tuttavia, che nel 30% dei pazienti, operati per una insufficienza mitralica dovuta a un infarto miocardico, vi sia la necessità di intervenire nuovamente sulla medesima valvola cardiaca nel corso dei successivi dieci anni.

Il nuovo dispositivo, ideato da un’azienda francese, viene innestato durante l’operazione post infartuale con una tecnica mininvasiva: si tratta del primo device per l’annuloplastica della valvola mitrale che può essere modificato in maniera percutanea per adattarsi alla valvola riparata in ogni momento dopo l’impianto, più volte nel corso di mesi e anni a seguire e mentre il cuore batte, evitando così la necessità di reintervento.

“Il dispositivo – spiega Albertini – va a trattare il rigurgito della valvola mitrale nei casi in cui questa sia stata danneggiata da un infarto, una condizione che causa un ritorno parziale del flusso di sangue dal ventricolo sinistro all’atrio sinistro durante la sistole cardiaca. Questo avviene quando i lembi della valvola mitrale non si chiudono propriamente a causa di un inadeguato contatto o coaptazione tra di loro. Quando il cuore viene danneggiato da un’ischemia la zona di muscolo colpita non si contrae più e un lembo della mitrale attaccato a quella zona viene tirato verso il basso, determinando l’insufficienza della valvola. Dopo la riparazione, nel corso degli anni, quella zona può andare incontro ad una dilatazione e tirare ancora più in basso il lembo, questo determina la recidiva dell’insufficienza valvolare”.

Nel caso in cui, a distanza di mesi o anni, si manifesti un rigurgito mitralico ricorrente, dopo l’operazione di riparazione della valvola e quando l’impianto è stabile, è possibile adattare il device e implementare la coaptazione di quanto necessario a far combaciare i lembi della valvola mitrale. Lo spazio necessario a farli combaciare viene ridotto grazie all’introduzione di un catetere per via percutanea attraverso una piccola incisione sotto la clavicola dove è stata collocata la fine distale della connessione all’anello del dispositivo.

Tramite il catetere vengono inseriti tre “palloncini” nell’anello del dispositivo posto in precedenza sulla valvola mitrale. Questi “palloncini” vengono gonfiati quanto necessario in tre zone anatomiche predefinite per fare in modo che i lembi della valvola tornino a combaciare. La procedura viene eseguita grazie a un’ecografia. L’adattamento può avvenire diverse volte dopo l’operazione alla mitrale, fino alla massima espansione delle tre zone. La riduzione massima dell’area dell’orifizio della valvola, con il massimo adattamento di tutte e tre le zone, è limitato a circa il 15% per prevenire qualsiasi rischio di stenosi (ovvero il restringimento patologico della valvola).

Dal 4 maggio, con la Fase 2 e grazie alle fondamentali misure di sicurezza messe in atto, sono riprese le attività ambulatoriali e chirurgiche nelle strutture di GVM Care & Research, gruppo ospedaliero italiano di cui fanno parte le strutture romagnole Maria Cecilia Hospital, San Pier Damiano Hospital, Primus Forlì Medical Center e Ravenna Medical Center.

GVM Care & Research ha predisposto triage telefonici e all’ingresso in struttura, percorsi di accesso limitati e dedicati, aree d’attesa riorganizzate per il corretto distanziamento. I ricoveri seguono protocolli sanitari dettati dalla Regione, così come per le urgenze si procede con interventi in “modalità Covid”: operatori, medici e infermieri in contatto con il paziente adottano le misure di sicurezza e protezione previste per i casi positivi al coronavirus. Gli operatori delle singole strutture sono a disposizione dei cittadini per ulteriori indicazioni in merito alle modalità di accesso.

Redazione Nurse Times

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