Sono tanti, troppi anni, che il Ministero della salute, le Regioni e le rappresentanze sindacali e professionali sentono la necessità di riordinare il profilo e la formazione dell’operatore socio-sanitario, il cui ruolo dalla pandemia COVID-19 è stato valorizzato quale componente fondamentale dell’equipe che in prima linea è intervenuta a fianco di medici, infermieri e delle altre professioni sanitarie e sociosanitarie fronteggiando tutte le conseguenze che questa grave pandemia ha comportato nel corso di questi ultimi anni.
Per questo è necessario una diversa presa in carico della persona con patologie a lungo decorso, di garantire la continuità assistenziale e di superare la centralità dell’ospedale in particolare attraverso l’integrazione dei servizi sanitari, sociosanitari e socioassistenziali con al centro l’interazione e la collaborazione multi professionale e interprofessionale sia di medici, infermieri, assistenti sociali, psicologi e le altre professioni sanitarie ma anche di operatori sociosanitari
Ricordo che il profilo di Operatore Socio-Sanitario è stata istituito con l’Accordo tra il Ministero della Sanità, il Ministero per la solidarietà sociale, le Regioni e le PP.AA. di Trento e Bolzano” il 22 febbraio 2001 in sostituzione di OTA e OSA con le funzioni, una volta acquisito il titolo formativo, di soddisfare i bisogni primari della persona, nell’ambito delle proprie aree di competenza nonché favorire il benessere e l’autonomia dell’utente e anche se si chiama “sociosanitario” è stato collocato nel ruolo tecnico, come se “contaminasse il ruolo sanitario” anche se è stato per legge definito operatore di interesse sanitario, una supercazzola gigantesca se non grottesca.
Infatti secondo l’accordo del 2001 l’OSS svolge la sua attività sia nel settore sociale che in quello sanitario, in servizi di tipo socioassistenziale e sociosanitario, residenziali o semiresidenziali, in ambiente ospedaliero e al domicilio dell’utente in collaborazione con gli altri operatori professionali preposti all’assistenza sanitaria e a quella sociale, secondo il criterio del lavoro multiprofessionale consentendo all’OSS di collaborare con il personale infermieristico od ostetrico nonché con gli altri professionisti della salute e di svolgere alcune attività assistenziali in base all’organizzazione dell’unità funzionale di appartenenza e conformemente alle direttive dell’assistenza infermieristica od ostetrica nonché con gli altri professionisti della salute e sotto la loro supervisione e mai è menzionato il termine “di supporto”.
La supercazzola viene archiviata con un emendamento che proposi e fu fatto proprio dalla deputata Donata Lenzi che lo fece approvare all’interno della legge di riforma ordinistica di tutte le professioni sanitarie, la legge Lorenzin (legge 11 gennaio 2018, n. 3) all’articolo 5 viene finalmente istituito formalmente l’area delle professioni sociosanitarie, con anni 18 anni di ritardo rispetto a quanto previsto dall’articolo 3-octies del d.lgs. 502/1992, contestualizzandola specificando la mission che è quella di contribuire alla tutela della salute, intesa, come sancisce l’OMS, come stato di benessere fisico, psichico e sociale, e precisando che, in attesa di prevederne altri, nell’ area delle professioni sociosanitarie sono già compresi i preesistenti profili professionali di operatore sociosanitario, assistente sociale, sociologo ed educatore professionale.
Quindi viene precisata l’esatta area di collocazione dell’oss senza alcun dubbio una professione della salute ope legis; per completare l’opera con il decreto-legge 73 del 25 maggio 2021 (cosiddetto “Sostegni bis”) convertito definitivamente nella legge 23 luglio 2021, n. 106 all’articolo 34 comma 9 ter viene data piena attuazione all’articolo 5 della legge Lorenzin, riconoscendo al personale dipendente del Servizio sanitario nazionale appartenente ai profili professionali di assistente sociale, di sociologo e di operatore sociosanitario la collocazione nel ruolo sociosanitario istituito con questa norma e così finisce l’era della collocazione errata dell’oss tra i profili ”tecnici” e si entra a pieno titolo tra quelli che intervengono direttamente sulla tutela e promozione della salute.
Rimane da descrivere il problema della formazione dell’OSS che è di competenza delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano che organizzano corsi tra loro non omogenei con il risultato di formare operatori con competenze differenziate che vanno poi ad incidere sulla uniformità e qualità dei servizi prestati, delegando altresì i corsi ad enti privati con costi enormi per chi li frequenta.
Finalmente è ripartito il confronto delle Regioni insieme al Ministero della Salute con le rappresentanze professionali e sindacali con la presentazione con cui si ridefinisce il profilo professionale dell’Operatore sociosanitario e si individua una nuova figura professionale che dovrebbe operare “nei contesti organizzativi in cui sia stato previsto l’inserimento nel team assistenziale” per coadiuvare gli infermieri oltre a svolgere le attività̀ proprie del profilo di operatore sociosanitario.
Le bozze sono un buon punto di partenza e mi auguro che il confronto in atto possa migliorarle tenendo conto di questo quadro istituzionale e che alla luce dei cambiamenti e degli adeguamenti ai nuovi bisogni di salute della popolazione, emersi anche durante la pandemia da covid-19 che ha colpito il nostro Paese, che va ripensata la figura professionale dell’OSS, il suo percorso formativo e il suo rapporto con le altre figure professionali in ambito sanitario e sociosanitario nonché l’evoluzione verso un nuovo profilo professionale che abbia un’implementazione di competenze e requisiti di accesso.
Se queste saranno gli assi portanti del confronto in atto, allora veramente il riordino della formazione e delle competenze dell’OSS sarà veramente funzionale a dare la risposta adeguata al ruolo che potrà svolgere per la tutela e la promozione della salute e anche contribuire in forma più efficiente ed efficace agli obiettivi in materia sanitaria e sociosanitaria stabiliti dal PNRR.
Saverio Proia
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