Respinto il ricorso contro il See and Treat: l’ordine dei medici attacca la sentenza!

Con la sentenza n° 10411/2016, pubblicata il 19 ottobre, il Tar Lazio ha respinto il ricorso dell’Ordine dei medici di Roma che, nel 2015, aveva chiesto l’annullamento della determinazione n. 384 del 20 marzo 2015 con cui l’Asl RM C ha disposto l’attivazione degli ambulatori infermieristici sul modello See&Treat.

La risposta dell’Ordine dei medici di Roma non si è fatta attendere. Infatti, il presidente Giuseppe Lavra attacca la sentenza affermando che lo stesso Ordine dei medici è rimasto allibito dalla decisione che, a suo dire, si può configurare, addirittura, come falso in atto pubblico, quando afferma che il See and Treat è in rete con il pronto soccorso. E, anche, laddove la struttura dove si effettua see and treat sia realmente nella stessa struttura del pronto soccorso, secondo il presidente dell’ordine dei medici romano, vi è lo stesso un problema di fondo. “Il triage non è una diagnosi, è una semplice attribuzione di priorità affinché il caso sia valutato dal medico. Insomma è un indice di priorità d’urgenza per la valutazione diagnostica del medico, mentre il See and treat così come configurato è una diagnosi clinica fatta da non medici”, ribatte Giuseppe Lavra.

Lavra, conclude la sua dichiarazione affermando che non è solo una questione legale la sentenza che, comunque, è già stata passata ai loro esperti legali per valutare eventuali possibilità di appello, ma è anche una questione ad alta valenza deontologica.

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Anche questa volta, la disinformazione dilaga.

Il see and treat non è assolutamente un processo che porta ad una diagnosi medica ma, bensì, un’attività dove gli stessi infermieri, accuratamente formati, e in base alle loro competenze scientifiche gestiscono in modo competente, offrendo risposte di qualità agli assistiti che si presentano in pronto soccorso con problematiche cliniche di natura minore e che, quindi, non richiedono accertamenti diagnostici e strumentali

.

I motivi che portano all’introduzione di questo approccio sono da considerarsi importanti, anche per un ente pubblico che ha, o almeno dovrebbe avere, interesse nella difesa dell’assistito; a titolo esemplificativo riportiamo tra i motivi la riduzione dei tempi di attesa e l’uso delle risorse mediche per la gestione di casi in cui vi è la piena necessità della professionalità del medico. D’altra parte sono gli stessi medici a lamentarsi di dover gestire casi dove la loro competenza non è necessaria proprio perché non finalizzata alla diagnosi differenziale di un problema di salute.

L’infermiere oggi è un professionista autonomo che, a seguito di formazione post base, raggiunge competenze avanzate per offrire prestazioni sicuri, efficaci, efficienti e, quindi, di altissima qualità. La tempistica formativa dei medici, richiamata dal presidente Giuseppe Lavra per attaccare la sentenza del TAR, non è sicuramente superiore a tante altre professioni, come, nel caso dell’infermiere che, dopo la laurea di I° livello in infermieristica può proseguire con la laurea magistrale, con i master di I° e di II° livello e con il dottorato di ricerca.

Ad ogni modo, i risultati conseguenti alla sperimentazione e quelli conseguenti alla pratica post sperimentazione sono estremamente soddisfacenti e, quindi, non si capisce come si possa contrastare una tale attività se non per biechi interessi di categoria.

Le normative che definiscono chi è un infermiere sono in vigore da molti anni; a questo punto, ci auspichiamo che la componente medica metta da parte i propri interessi e, ponendo gli assistiti al centro del percorso clinico – assistenziale, oltre che rispettando le altre professioni e riconoscendone i rispettivi meriti, capisca che è l’ora di cambiare e di dedicarsi a quelle attività veramente complesse in cui il SSN ha realmente necessità della competenza specifica della professione medica.

Carmelo Rinnone

Redazione Nurse Times

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