”Quanto coraggio devi portare e indossare sotto questa tuta”

Il primo giorno non si dimentica, è stato un impatto devastante, quel corridoio immenso, troppo lungo, in fondo una luce fioca, quei bip scanditi nelle orecchie ogni secondo che emettono i monitor incessanti.

 I letti, gli occhi impauriti e spenti dei pz, il rumore dei respiratori e i colori sbiaditi che ti circondano; ti manca il vero suono della vita. Nonostante tutto…accetti, certo che accetti questo incarico, sei chiamata ad andare in trincea, rifletti come possa essere importante questa nuova esperienza; pensi a come trarre il meglio in tutto questo, una grande prova di adattamento, la grande legge dell’adattamento di Darwin non perdona.

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 Torni a casa, con un vuoto e con una pressione alla testa che mai hai provato, ti metti a letto a riposare per non pensare; ti svegli e senti ancora la pressione al collo alla testa che vorresti far passare ma non sai come. Questo significa lavorare in emergenza, lavorare nel reparto Covid.

Inizi a ricevere mille incoraggiamenti, parenti, amici,  chi veramente ti vuol bene e ti sostiene; di chi sa bene in questo settore cosa significa lavorare e amare il proprio lavoro dedica almeno una parola per te. Serve consapevolezza tanta credetemi, tantissima, per accettare devi decidere con grande consapevolezza.

 Accetti anche con curiosità, con grande spirito di entusiasmo, questo salto di professionalità, questo grande impatto emotivo che mai potrai dimenticare, un vero impatto che sfida il tuo equilibrio quotidiano, sfida la tua cosidetta “normalità”; ti mette a dura prova, ti destabilizza, ti provoca un crollo di tutte le tue certezze e crea un netto cambiamento di tutta la vita che fino a pochi secondi fa neanche sapevi.

Perché accetti? Sai benissimo che rischi la tua vita stessa per gli altri, ti rendi utile, disponibile, essenziale, pronto ad aiutare; a sostenere chi è in difficoltà, a fare lavoro di squadra, l’altruista lo sa, l’empatico lo porta nel dna. 

L’emergenza è questa, metterti alla prova in ogni momento, nell’immediato, pronta a servire il prossimo sempre…sentire il dolore altrui, sentire il dolore di un collega che per settimane torna a casa e piange, altri che mentre indossano la tuta vengono colti da veri e propri attacchi di panico; il cuore batte all’impazzata e devi arrenderti, devi mollare non puoi continuare, non é per tutti non puoi sfidare il tuo essere predisposto, non puoi, devi arrenderti, non sei ancora pronto!!!

Quanto coraggio devi portare, e devi indossare sotto questa tuta, sotto questa corazza…che ci sfianca non solo il corpo ma anche l’anima; non puoi accettare un armatura che ti stringe che ti schiaccia che ti annulla l’identità di essere, di persona, annulla il contatto con le persone, con i tuoi pz, con i colleghi, con i medici.

Questa tuta ormai resa famosa perché utilizzata ai tempi dell’ebola quindi speri secondo protocollo che sia molto protettiva, occhiali, mascherina ffp3, mascherina chirurgica, guanti doppi o tripli,visiera e copriscarpe; ti convinci che il tutto ti salverà, che ti proteggera’, anche se il rischio zero non esiste, sempre con tutte le dovute accortezze, manovre che diventano una routine di ogni turno, 7, 8 o 9 ore a turno.


Il prodotto giusto che deterge e sanifica ogni volta spruzzato sulla tuta dopo ogni giro letto del pz, dopo ogni contatto, serve tanta prevenzione; la tecnica, la pratica e la concentrazione sempre alta nello smaltimento di tutti i rifiuti a rischio contaminazione. Mai abbassare la guardia, lui c’è, lui è sempre presente, invisibile, sleale e subdolo ma letale. 


In ogni corpo che ansima eccola la così detta” fame d’aria” è questa la sensazione che notiamo dai loro occhi. Appena nati la prima necessità che abbiamo è proprio questa, “respirare” … prima di ogni cosa, prima del contatto, prima di alimentarsi esiste il bisogno di “respirare”… 


 Abbattere il più possibile la carica virale uscendo stanza dopo stanza, pz. dopo pz, monitorare, idratare, alimentare, ogni pz è unico a sé, diverso come approccio, diverso come terapia; va trattato in maniera individuale sempre, spesso cerchiamo di provocare in loro un emozione positiva, una battuta, una parola d’ incoraggiamento mi fa sentire vittoriosa, sai che è questa la migliore terapia, la giusta  terapia …basta un loro bel sorriso per aumentare il loro benessere. 

Mentre basta una piccola manovra errata e il peggio è fatto, irreparabile, le infezioni da sepsi durante le lungodegenze sono le più debilitanti; anche mortali per individui già provati dal Covid !!! Ma per noi ogni guarigione è una grande vittoria… vorrei raccontarne tante di storie, piccoli miracoli e assaporare attimi di gioia nel mio lungo diario di bordo…

#Unabloggerperpassione 

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