ROMA 22 FEB 2024 – Le recenti esternazioni pubbliche del nostro Ministro della Salute Schillaci non fanno altro che aumentare i nostri interrogativi su quali siano, ad oggi, in un momento di crisi così acuta per la sanità italiana, le reali intenzioni del Governo per arginare una carenza di personale che non può attendere ulteriormente per essere sanata.
Stentiamo a comprendere, infatti, la portata delle dichiarazioni di Schillaci, che avrebbe quantificato in 10mila unità la voragine di infermieri (quanti in effetti ne mancano nella sola Lombardia) e in 4mila quella dei medici, forse avendo intenzione di riferirsi, ci auguriamo sia così, ad una prima minima necessità di sanare le esigenze più urgenti di professionisti.
Da una parte, infatti, il Ministro, sta dimostrando estrema chiarezza nel sottolineare all’opinione pubblica che in Italia a mancare sono innanzitutto gli infermieri e che l’emergenza da risolvere non è certo quella della carenza di medici, numericamente in linea con gli standard europei.
Tuttavia non possiamo sottacere la nostra evidente sensazione che Schillaci, quando deve andare al sodo, quando deve toccare finalmente l’agognato argomento della valorizzazione economica dei professionisti dell’assistenza, finalizzato ad arginare piaghe quali fuga all’estero e dimissioni, innesti in qualche modo il freno a mano.
Anzi, diremo di più, non esita ad affermare che occorre incentivare economicamente i medici mentre, nel tornare poi sul capitolo infermieri, è come se facesse un passo avanti e due indietro, insistendo sul fatto che l’unica strada al momento risolutiva è legata all’arrivo dei professionisti dell’assistenza stranieri.
Nel confermare, sia chiaro, la nostra piena disponibilità, al Ministro Schillaci, per un costruttivo confronto che serva finalmente a dipanare l’intricata matassa, chiediamo nel contempo chiarezza e coerenza, continua De Palma.
L’INAIL, con i suoi dati allarmanti, conferma che la sanità territoriale e nello specifico l’assistenza agli anziani, sia domiciliare che nelle strutture ad hoc, è letteralmente sull’orlo del baratro.
Il costante invecchiamento della popolazione è la dura realtà con cui siamo alle prese, ma mancano come il pane gli infermieri, sia per supportare le famiglie che decidono di prendersi cura in casa dei loro congiunti anziani e malati, sia per coprire le enormi falle delle strutture accreditate con le aziende sanitarie.
E’ lo specchio della crisi profonda di una sanità territoriale che rischia di affondare, così come quella privata non è certo un’isola felice, laddove le strutture private, per chi se le può permettere, scarseggiano ampiamente di personale (lunghe code e costi elevati, con il rischio sempre di finire nelle mani sbagliate). Con l’unica differenza che una sanità di prossimità malfunzionante per i nostri anziani, rischia di mettere le famiglie con le spalle al muro.
L’Assistenza domiciliare integrata (Adi), che idealmente dovrebbe coordinare le prestazioni sanitarie di ASL e Distretti sanitari e quelle socio-assistenziali dei Comuni (SAD), spesso è un miraggio o, quando viene erogata, è totalmente insufficiente. La stessa assistenza sanitaria, infatti, è spesso limitata agli accessi (pochi) a casa dell’infermiere per alcune prestazioni quali medicazioni o prelievi, quando va bene.
Venga negli Ospedali e sul territorio il Ministro Schillaci, o almeno ci dica in base a quali autorevoli studi e valutazioni si sarebbe ridotta all’improvviso, beninteso non a tavolino ma nella realtà quotidiana, la grave carenza di professionisti sanitari in Italia, tristemente asseverata da anni di autorevoli studi e ricerche.
Certo è che, con i suoi “10mila infermieri” che mancano all’appello, non può rischiare di minimizzare il problema, alla luce anche di una collettività che ha ben chiari da tempo i dati della FNOPI, o ancor meglio, quelli dell’OCSE e/o di altri report autorevoli, come AGENAS o Crea Sanità che denunciano centinaia di migliaia di infermieri mancanti.
Per non parlare dei numeri che si raggiungono, se volessimo qualificare le carenze italiane in base agli standard europei attuali, come risulta dal nostro ultimo rapporto, con una forbice che va da 175mila a 220 mila, a seconda del gruppo di Paesi presi in considerazione ai fini della comparazione.
Il resto dell’Europa non è esente da deficit, sia chiaro, ma si adopera costantemente e si riorganizza, non minimizza certo la portata dei problemi», conclude De Palma.
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