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Professione infermieristica e Ssn: tra crisi e sostenibilità

Di seguito un interessante contributo a cura di Antonello Cocchieri, ricercatore presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, abilitato alle funzioni di professore di seconda fascia in Scienze infermieristiche. In questo suo primo articolo per Nurse Times il dottor Cocchieri parla di alcune criticità della professione infermieristica, offrendo un punto di vista interno sulla scarsa attrattività della stessa, testimoniata dai numeri in calo delle iscrizioni al relativo corso di studi.

Antonello Cocchieri

Il Servizio sanitario nazionale (Ssn) garantisce il diritto alla salute a tutti i cittadini, senza discriminazioni di reddito, genere o età. Questa conquista straordinaria di civiltà è unica: pochi Paesi al mondo offrono un’assistenza sanitaria universale e gratuita. Secondo il professor Walter Ricciardi, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, è la più grande opera pubblica del dopoguerra. Tuttavia, come ogni grande opera, è necessario garantirne la sostenibilità. Attualmente il nostro Ssn affronta una crisi profonda, che minaccia la sua stessa esistenza.

Una delle cause principali di questa crisi è l’andamento demografico. La popolazione italiana sta invecchiando rapidamente, aumentando così il bisogno di assistenza, soprattutto per le patologie croniche. Se da un lato l’invecchiamento è un successo della sanità pubblica, dall’altro crea una popolazione con necessità sanitarie molto diverse rispetto al passato. Oggi ci sono circa 193 anziani per ogni 100 giovani, e negli ultimi dieci anni la popolazione non attiva è cresciuta del 10%, gravando ulteriormente sul sistema sanitario.

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I decreti riorganizzativi dell’assistenza territoriale avevano previsto l’introduzione di circa 20mila infermieri di famiglia e di comunità (IFeC) per potenziare l’assistenza territoriale, ma al momento sono solo 1.062 quelli effettivamente in servizio. Nel 2023 circa 6mila infermieri sono emigrati dall’Italia. La media nazionale è di 6,3 infermieri per 1.000 abitanti, ben al di sotto della media europea di 8,3, risultando in una carenza di 65mila infermieri tra ospedali e assistenza territoriale.

Nonostante la pandemia abbia messo in luce queste criticità, non sono ancora state trovate soluzioni strutturali adeguate. Gli infermieri italiani guadagnano in media 28.400 euro all’anno, molto meno rispetto alla media europea di 35.300 euro. Secondo i dati Ocse, lo stipendio medio degli infermieri italiani nel 2020 era di circa 39.000 dollari, contro i 48.000 dollari dei colleghi britannici e i 59.000 dollari di quelli tedeschi. Questo divario salariale spinge molti infermieri a cercare lavoro all’estero. Dal 2019 al 2021 la Gran Bretagna ha assunto circa 10mila infermieri italiani, con Svizzera e Belgio come altre destinazioni popolari.

Secondo lo studio BENE (Benessere degli infermieri e staffing sicuro negli ospedali), il 59% degli infermieri italiani si sente molto stressato e il 36% ritiene di non avere il controllo sul proprio carico di lavoro. Circa la metà degli infermieri considererebbe di lasciare il proprio posto entro l’anno: un dato in crescita rispetto a un precedente studio del 2011.

Un’altra ricerca ha poi dimostrato che l’aumento del 10% degli infermieri che intendono lasciare la professione è correlato a un aumento del 14% della mortalità intraospedaliera. Questo fenomeno, noto come “intention to leave”, è aggravato dagli episodi di violenza contro gli infermieri, come evidenziato da un’indagine dell’Inail.

In Italia i neolaureati in Infermieristica sono solo 17 per 100mila abitanti, all’ultimo posto tra i Paesi Ocse, dietro Polonia, Spagna, Germania e Svizzera. Il rapporto Ocse sottolinea la necessità di valorizzare la professione infermieristica, rendendola più attraente anche per gli uomini e creando opportunità concrete di carriera. La presidente della Fnopi, Barbara Mangiacavalli, ha più volte denunciato l’appiattimento organizzativo, formativo e contrattuale che caratterizza da anni la professione infermieristica.

Questa situazione si riflette anche nel calo delle iscrizioni ai corsi di laurea in Infermieristica. Nell’anno accademico 2023/2024, a fronte di 3641 posti disponibili nelle università del Lazio, sono state presentate solo 2.641 domande, un calo del 20% rispetto all’anno precedente.

È imperativo affrontare le cause della intention to leave, adottando misure efficaci per trattenere gli infermieri attraverso azioni coordinate, politiche e scientifiche, che migliorino le organizzazioni, i carichi di lavoro e le possibilità di crescita professionale. Stiamo disegnando il futuro della professione infermieristica e dell’assistenza ai cittadini. Tutti noi abbiamo la responsabilità morale di contribuire a questo processo.

Dott. Antonello Cocchieri

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