Dopo aver letto il titolo molti di voi staranno storcendo il naso pensando che si tratta della scoperta dell’acqua calda. Noi infermieri, infatti, sappiamo bene che per tirare avanti non bastano solo le motivazioni, le competenze e la passione per il proprio lavoro.
In un settore come il nostro in cui la cronica carenza di infermieri è una triste realtà, aumentare gli stipendi serve ad attrarre nuove persone che possano accostarsi alla nostra professione con interesse e professionisti già formati, che altrimenti andrebbero all’estero, senza che vengano meno la motivazione e la preparazione.
In un periodo storico per di più, in cui si discute di infermieri specialisti ed esperti ad “invarianza di costo”, bruttissimo termine, coniato dai nostri politici ed esperti, che cela in tutta la sua brutalità la negazione, di fatto, del riconoscimento economico di percorsi di studi già espletati dai professionisti infermieri.
Infermieri che già hanno competenze avanzate e specializzazioni da poter spendere in molti campi assistenziali, sia che si tratti di prevenzione, di cura o di migliorare gli esiti di salute dei propri pazienti.
E’ questa la conclusione a cui è giunto Alessandro Fedele , docente di politica economica alla Facoltà di economia di Bolzano, con una ricerca dal titolo “Well Paid Nurses are Good Nurses”, che stravolge quanto fin qui sempre affermato dalla letteratura corrente.
In Italia e in genere nei paesi più avanzati l’età della popolazione è cresciuta, così come i loro bisogni di salute. Si assiste sempre più ad una cronicizzazione delle patologie che richiede un crescente numero di infermieri per poter soddisfare queste richieste di salute.
La letteratura economica fin qui ha sostenuto che la scarsità di personale infermieristico non fosse da attribuire ai mancati aumenti stipendiali, ma alla mancanza di motivazioni.
Heyes (2005), Barigozzi e Turati (2012) sostengono che aumentare gli stipendi influisca negativamente sugli infermieri, sulla loro motivazione e sull’erogazione di cure di buona qualità. L’aumento di salario per questi studiosi non è la soluzione appropriata per risolvere la carenza di personale infermieristico.
In realtà la ricerca di A. Fedele ci dimostra che ci sono evidenze del contrario, ossia che aumentare lo stipendio è la via da percorrere se si vogliono richiamare individui motivati e competenti, che sappiano erogare assistenza di qualità.
Gagliarducci e Nannicini (2013), utilizzando i dati delle amministrazioni locali in Italia, dal 1993 al 2001, hanno concluso che i salari più alti attraggono i candidati più preparati.
Lo studioso si è servito per la sua ricerca non solo dei dati raccolti prima di lui da altri economisti e statistici, ma anche degli strumenti della psicologia che descrivono il funzionamento della motivazione.
In particolare ha approfondito la Teoria dell’Autodeterminazione di Deci e Ryan, (1985) che distingue tra motivazione intrinseca, che è quella per cui una persona sceglie un lavoro in base al fatto che sia soddisfacente e piacevole in sé, e motivazione estrinseca, che di contro, è quella per cui una persona agisce per ciò che pensa possa derivare dal lavoro scelto.
La letteratura sulla motivazione in campo infermieristico dimostra che gli infermieri motivati tendono ad immaginare la loro professione come un mezzo per raggiungere degli obiettivi soddisfacenti (aiutare le persone in difficoltà), sia dal punto di vista professionale, che personale.
Applicando questa teoria al contesto infermieristico si può dimostrare che aumentare i salari comporterebbe in realtà un aumento di lavoratori sia preparati che motivati.
In parole povere, gli infermieri ben pagati risultano essere davvero buoni infermieri.
Rosaria Palermo
Fonte
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