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Infermieri di pronto soccorso: tra sacrifici, stress e richiesta di maggiore riconoscimento

La situazione degli infermieri di pronto soccorso nella città di Milano e nella sua area metropolitana continua ad essere critica. Giovanni Calà, dirigente sindacale di Fials Milano e infermiere di pronto soccorso, ci racconta una realtà complessa, fatta di sfide economiche, violenze subite, stress costante e una vita personale fortemente compromessa.

Sfide economiche

“Ogni giorno entro in ospedale sapendo che il turno che mi attende sarà intenso e faticoso. Tuttavia uno degli aspetti più scoraggianti è la consapevolezza che, nonostante l’importanza vitale del mio lavoro, la remunerazione non riflette il carico di responsabilità e stress che comporta. Gli stipendi degli infermieri in Italia sono notoriamente bassi, soprattutto se confrontati con quelli di altri paesi europei. Per questo motivo molti di noi, dalla sanità pubblica hanno deciso di provare nuovi contesti, dalla libera professione, ad emigrare all’estero, o dover fare i frontalieri in Svizzera. Questo non solo rende difficile arrivare a fine mese, ma sminuisce anche il valore del nostro lavoro agli occhi della società.”

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Violenze subite

“È un tema molto caldo ultimamente, soprattutto dopo i recenti episodi che hanno fatto il giro delle testate nazionali. La sicurezza spesso viene a mancare: ci sono PS più sicuri con posti di polizia e guardie armate h24, ed altri dove tutto ciò lo trovi solo in alcune fasce orarie o addirittura nulla. Se è capitato anche a me? Certo che sì. Capita molto spesso, vuoi che sia per la tensione, la paura, le troppe ore di attesa, o anche per la presunzione, o spesso per un’utenza fatta di persone poco raccomandabili, che queste cose si trasformino in aggressioni verbali o fisiche nei confronti di noi operatori sanitari. Quotidianamente ti ritrovi in contesti con le sale d’attesa in sovraffollamento, dove i tempi di attesa per i codici minori sono di ore ed ore, e questa è una delle maggiori cause degli agiti aggressivi dell’utenza. A volte si è arrivato allo scontro fisico, agli insulti e persino ad essere minacciato più volte di morte.”

Stress

“Lo stress è all’ordine del giorno. Spesso ci sentiamo sottovalutati, non solo dai pazienti, ma anche da altre figure, ad esempio come la classe medica, o alcune strutture della gestione ospedaliera. Ci viene chiesto di fare di più con meno, e quando le cose vanno male, spesso la colpa ricade su di noi, senza considerare la mancanza di risorse e personale che è la vera radice di molti problemi.”

Vita personale compromessa

“La vita personale? Quasi non esiste. I turni sono lunghi, massacranti, senza una logica di cadenza regolare ed imprevedibili, molto spesso ci ritroviamo a saltare il riposo dopo i turni notturni, per sopperire alla carenza di organico, e il poco tempo libero che rimane è spesso compromesso dalla stanchezza fisica ed emotiva. Relazioni, hobby, momenti di relax diventano secondari. La pandemia ha acuito tutto ciò, isolandoci ulteriormente e mettendo a dura prova la nostra resilienza psicologica. Ci hanno chiamato eroi? Ma adesso ci hanno dimenticato.”

Conclusione

“Tutto ciò che ho riportato sopra, oltre a viverlo in prima persona, lo lamentano tutte le figure che operano nei pronto soccorso di Milano; non solo infermieri e oss, ma anche il personale medico è colpito da questi fenomeni, aspetto avvalorato tramite il mio ruolo sindacale che mi porta a confrontarmi con tantissimi colleghi di altre aziende ospedaliere, che spesso lamentano questi tipi di disagi. Infermiera o infermiere di pronto soccorso non è solo un lavoro: diventa poi uno stile di vita che richiede un impegno totale, spesso a discapito del benessere personale. Serve una maggiore attenzione e rispetto per il nostro ruolo all’interno della società”.

E ancora: “Abbiamo tante responsabilità, alcune addirittura pari alla responsabilità che ha un medico: un codice colore errato può compromettere la salute di un paziente, responsabilità che nel nostro paese non sono riconosciute. Una valorizzazione non solo morale ma anche economica sarebbe un primo passo fondamentale verso il riconoscimento del nostro contributo essenziale. Se dopo 5 anni di pronto soccorso potrei tornare indietro rifarei tutto ciò? Assolutamente sì, non sono pentito di questa scelta, per un infermiere raggiungere certi livelli di assoluta sicurezza nella gestione del paziente a 360 gradi è molto soddisfacente, ma purtroppo il prezzo da pagare è molto alto”.

Redazione Nurse Times

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