Ha preso il via nelle Ulss del Veneto la formazione dedicata all’istituzione dell’infermiere di famiglia o di comunità (IFoC), la nuova figura professionale istituita dalla Regione per rafforzare i servizi infermieristici e per potenziare la presa in carico sul territorio di tutte le persone in situazione di fragilità con ad esempio malattie croniche, disabilità, disturbi mentali, dipendenze patologiche, non autosufficienti, con bisogni di cure palliative o di terapie del dolore.
La formazione, a cura di Fondazione Scuola di Sanità Pubblica, con il supporto del Comitato Tecnico Scientifico per gli aspetti di merito, si rivolge a tre target distinti di infermieri operanti in ambito territoriale: circa 100 infermieri con incarico di funzione organizzativa/coordinamento e dirigenti delle professioni sanitarie; 115 infermieri referenti per la formazione sul campo; circa 1800 infermieri (compresi gli infermieri delle forme organizzative/aggregative della medicina generale).
“All’aumentare dell’età nella popolazione – spiega l’assessore alla Sanità del Veneto, Manuela Lanzarin – si assiste ad un aumento delle condizioni di cronicità e comorbilità: i soggetti con almeno tre patologie rappresentano il 37% della popolazione con età maggiore di 75 anni. Queste nuove figure professionali che stiamo formando si occuperanno della gestione dei bisogni di assistenza legati alla cronicità semplice e alla fragilità, al mantenimento di stili di vita adeguati e alla promozione dell’autocura”.
E ancora: “Interverranno autonomamente o su segnalazione di operatori sociali, delle associazioni di volontariato, delle forze dell’ordine. Effettueranno monitoraggi e iniziative di promozione della salute, in sinergia con i medici di medicina generale o gli specialisti, anche attraverso la teleassistenza e la teleconsulenza”.
Conclude Lanzarin: “Ci aspettiamo molteplici risultati dall’introduzione di questa nuova figura professionale: un miglioramento della qualità di vita delle persone assistite attraverso il controllo della propria salute e la conseguente riduzione delle condizioni di rischio; una diminuzione del ricorso al pronto soccorso; un incremento della partecipazione dell’utenza ai programmi di screening e alle campagne vaccinali proposte”.
Redazione Nurse Times
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