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Infermiere di famiglia, bene la legge: ora va riempita di contenuti

Si fa un gran parlare della figura dell’infermiere di famiglia contenuta nel decreto rilancio ed ora divenuto legge a tutti gli effetti.

Una figura che attendeva di vedere la luce dal lontano 1998.

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Infatti il documento Salute21 riguarda la politica programmatica di “Salute per Tutti” per la Regione europea dell’OMS, approvata dal Comitato Regionale dell’OMS per l’Europa nel Settembre 1998, a seguito di ampie consultazioni tra i 51 Stati europei membri ed altre importanti organizzazioni.

Definisce 21 obiettivi per il XXI secolo. Questi obiettivi articolano le aspirazioni della politica regionale. Essi intendono fornire un quadro di riferimento per l’azione in ciascun Stato membro, in modo che ognuno possa adeguare la propria politica e strategie sanitarie in linea con quelle di SALUTE21.

In particolare in questo viene descritta la figura dell’infermiere di famiglia in questo modo:

“aiuterà gli individui e le famiglie ad adattarsi alla malattia e alla disabilità cronica, o nei momenti di stress, trascorrendo buona parte del loro tempo a lavorare a domicilio dei pazienti e con le loro famiglie. Tali infermieri consigliano riguardo gli stili di vita ed i fattori comportamentali di rischio, così come assisteranno le famiglie con problemi riguardanti la salute. Attraverso la diagnosi precoce, essi possono garantire che i problemi sanitari delle famiglie siano curati in uno stadio precoce. Con la loro conoscenza della salute pubblica, delle tematiche sociali e degli altri servizi sociali, possono identificare gli effetti dei fattori socioeconomici sulla salute della famiglia ed indi- rizzare quest’ultima alle strutture più adatte. Possono facilitare le dimissioni precoci dagli ospedali fornendo assistenza infermieristica a domicilio ed agire da tramite tra la famiglia ed il medico di base, sostituendosi a quest’ultimo quando i bisogni identificati sono di carattere prevalentemente infermieristico.”

Detto questo è facile immaginare quanto la notizia di questa seppur tardiva legge sia stata accolta con grande favore dalla comunità professionale.

Ci voleva una pandemia e tutto il corollario che si sta portando dietro per arrivare a questo importante passaggio legislativo.

Certamente questo provvedimento lascia aperte molte questioni e molti dubbi limitandosi ad enunciare l’istituzione e numeri di rapporto tra infermieri di famiglia e cittadini che già da soli appaiono alquanto ridicoli.

Se tali resteranno altro non saranno che la certificazione di un provvedimento di facciata e nulla più; un atto dovuto fatto più per fare bella figura e dare un contentino agli infermieri che per risolvere concretamente la questione.

Vediamo quindi nello specifico quali questioni lascia aperte questa normativa.

Per prima cosa i numeri. Infatti 8 infermieri ogni 50000 abitanti se il modello è quello descritto da SALUTE 21 è di fatto un numero ridicolo ed irrisorio.

Già questo di per se rischia di vanificare l’implementazione di questa figura.

Ogni infermiere di famiglia dovrà seguire 6250 persone; cosa che se anche lavorasse 12 ore al giorno tutti i giorni della settimana senza riposi e saltando ogni festivo sarebbe davvero difficile.

Questa assistenza non potrà essere erogata a tutti come prevede l’OMS nel documento del 1998 che ricordiamo è stato sottoscritto da tutti gli stati dell’area europea, Italia compresa.

Seconda questione, ma non meno importante.

Di cosa si occuperà questa figura? Quale il suo ruolo? le sue possibilità operative e come verrà nei fatti declinata sul territorio dalle varie organizzazioni sanitarie regionali?

L’infermiere di famiglia dovrebbe essere inserita all’interno di una più vasta e organica rivisitazione dell’attuale modello organizzativo del nostro sistema salute, che però a questo punto preveda un radicale cambiamento di paradigma.

La sfida è infatti questa: passare dal curare una malattia al prendersi cura delle persone; passando da un sistema salute incentrato sugli ospedali come luogo di cura di malattie ad una visione territoriale intesa come luogo del prendersi cura.

Senza tralasciare la prevenzione e il sostegno ai malati cronici ed alle loro famiglie. Si dovrebbe quindi superare la concezione medico-centrica, arrivando ad una concezione di equipe tra professionisti alla pari.

Abbiamo già visto la definizione che da di questa figura il documento SALUTE 21 e se quello deve essere la base su cui costruire e ciò a cui i professionisti della salute devono ambire.

Nella norma approvata tutto questo non c’è, va ancora tutto declinato. Altrimenti gli infermieri di famiglia rischiano di essere un clamoroso flop ridotti a semplici segretari di qualche medico di famiglia.

Terza questione.

Come questi verranno ad integrarsi con le già scarse e depotenziate risorse nel territorio?

In alcuni casi sono già presenti sul territorio servizi di assistenza domiciliare, che erogano a macchia di leopardo servizi e prestazioni a pazienti che non sono in grado di raggiungere ospedali e servizi ambulatoriali.

Sono presenti all’interno delle strutture territoriali (anche qui a macchia di leopardo) ambulatori infermieristici che seppur implementati ormai da più o meno tempo e più o meno bene, nei fatti poi non sono nelle condizioni di offrire percorsi di salute.

Questi sono quasi sempre limitati alla questione prestazionale (cambio del catetere, terapia infusionale o intramuscolare, medicazioni e rimozione punti).

In più in un quadro generale in cui le liste di attesa sono interminabili, in quale rapporto si potrà porre sui bisogni di salute, e quindi anche di visite specialistiche ed esami dei suoi pazienti?

Avrà delle liste apposite? Potrà decidere delle priorità? Avrà la facoltà di richiedere consulenze o semplici esami diagnostici?

Quarta questione.

La possibilità prescrittiva. Pensiamo ai pazienti cronici con più patologie: è possibile immaginare che un infermiere di famiglia possa in autonomia ad esempio decidere di eseguire un ECG

per un paziente cardiopatico anche semplicemente come controllo routinario?

Ad un paziente che riferisce disturbi sospetti?

Oppure di decidere di fare analisi ematiche per un paziente diabetico o dislipemico?

Oppure semplicemente prescrivere presidi per l’incontinenza o medicazioni avanzate o ausili per la deambulazione?

La risposta è ovviamente no.

Tutto ciò deve passare per un medico e per un appuntamento presso le strutture territoriali con i tempi che tutti conosciamo.

Addirittura la prescrizione di semplici presidi come quelli descritti devono attualmente passare per uno specialista di struttura pubblica. Eppure tutto questo darebbe un senso alla presenza sul territorio di un infermiere di famiglia così come descritto nel documento dal quale siamo partiti.

Quinta questione: il tipo di rapporto di lavoro che questi avranno con il sistema salute.

E’ del tutto evidente che le strade sono diverse e molteplici. Se da una parte circa 9600 infermieri in più (così dice il ministro Speranza) certamente sono una boccata di ossigeno per la martoriata professione, d’altra parte con che tipo di contratto questi verranno assunti è questione anche questa dirimente.

Un conto è infatti se questi saranno assunti a tempo indeterminato dalle aziende sanitarie.

Altro se avranno contratti di collaborazione libero professionali direttamente con le stesse (un pò come i medici di famiglia); altro ancora se saranno reclutati facendo ricorso al lavoro in affitto tramite appalti con ditte e cooperative varie.

Non è difficile immaginare come ognuna di queste soluzioni comporti una certa influenza sulla discrezionalità del professionista e di conseguenza livelli di assistenza diversi; nonché diverse forme di precariato e di sfruttamento.

C’è bisogno quindi in ogni caso di chiarire bene la questione e orientarsi verso una soluzione che garantisca stabilità e discrezionalità dei singoli professionisti.

Sesta ed ultima questione: la formazione.

Appare del tutto evidente che questi professionisti debbano avere una formazione specialistica che potrebbe certamente essere garantita da master e/o lauree magistrali.

In questo momento quanti masterizzati abbiamo a disposizione per immettere sul territorio queste professionalità?

Quanti master in infermieristica di famiglia e di territorio abbiamo attivi sul territorio nazionale?

Rispondere a questa semplice domanda significa ammettere che non abbiamo affatto un numero così rilevante di professionisti già pronti, ne tantomeno la possibilità di formarne a breve termine.

Difatti i master attivi sono un numero irrisorio con pochissimi posti disponibili in ogni percorso e per di più con una scarsa attrattiva per gli stessi professionisti.

La soluzione potrebbe essere (per un periodo ponte diciamo di almeno 7/10 anni) utilizzare oltre che naturalmente i masterizzati, quindi infermieri esperti, o meglio ancora i laureati magistrali che hanno sviluppato competenze cliniche ed anche organizzative.

Contemporaneamente attivare i master o meglio ancora rivedere l’intero assetto formativo prevedendo le lauree magistrali di specializzazione (in questo come in altri ambiti) in modo da poter da una parte garantire la partenza e dall’altra rimettere ordine alla formazione considerando le mutate esigenze del sistema salute.

Conclusione

Cari colleghi alla fine di queste semplici considerazioni possiamo dire che si, abbiamo raggiunto l’obiettivo di avere istituito l’infermiere di famiglia.

Ora però inizia la vera sfida: riempire di contenuti, di professionalità e di visione strategica, con un nuovo e moderno modello organizzativo del nostro sistema salute.

Ma anche di numeri adeguati ed importanti. Insomma se resterà una mera manifestazione di interesse, un compitino fatto tanto per farlo, per dare un contentino agli infermieri, non sarà una vittoria per nessuno.

Non lo sarà nè per gli infermieri, nè per i cittadini ed i pazienti; non lo sarà neanche per la politica.

Ancora una volta spetta a noi evitare tutto questo e riempire di contenuti concreti una legge partorita in fretta, in un periodo particolare come quello attuale.

Noi infermieri però sappiamo e conosciamo e sappiamo proporre le questioni e le loro soluzioni.

Credo sia necessario che ci impegniamo, ad iniziare dalla nostra rappresentanza professionale, la FNOPI, per riempire di contenuti e concretezza questa norma davvero troppo frettolosa ed incongruente.

Altrimenti sarebbe del tutto amorfa e lontana da un contesto che nella realtà è molto, ma davvero molto lontano da una visione d’insieme.

Angelo De Angelis

Allegato

Angelo De Angelis

Diploma di INFERMIERE PROFESSIONALE presso Centro idattico Polivalente Pio Istituto ed Osperali Riuniti ROMA nel 1980 Dal luglio 1980 INFERMIERE presso ospedale S.Giovanni Roma strumentista in C.O. chirurgia generale, infermiere in pronto soccorso chirurgico,medico e successivamente cardiologio Dal 1990 infermiere in ambulanza B.L.S A.L.S CENTRALE OPERATIVA DAL 2008 INFERMIERE presso CENTRO DI ASSISTENZA DOMICILARE ASL RM1 accoglienza e supporto agli utenti e famigliari coordinamento e consulenza agli infermieri nel territorio Nel 2013 LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE INFERMIERISTICHE ED OSTERICHE presso università SAPIENZA DI ROMA

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