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Il Respiratore Drinker: la storia ed il funzionamento del “Polmone di Acciaio”

Philip Drinker e Charles McKhann furono i primi medici a pubblicare un documento intitolato  The Use of a New Apparatus for the Prolonged Administration of Artificial Respiration: I. A Fatal Case of Poliomyeliti nel quale venne descritto l’utilizzo con successo di un respiratore artificiale nei pazienti affetti da poliomielite paralitica.

I due ricercatori del Boston Children’s Hospital avrebbero utilizzato il dispositivo precedentemente conosciuto come Respiratore Drinker e dopo come “Polmone d’acciaio” per fornire supporto temporaneo ed in alcuni casi supporto respiratorio definitivo ai pazienti affetti da paralisi diaframmatica e dei muscoli intercostali, fondamentali per la respirazione.

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Ciò avrebbe offerto la possibilità di avere una respirazione tale da poter continuare a vivere a molti pazienti affetti da poliomielite, seppur con il supporto di tale dispositivo per alcune ore, giorni, o per il tempo necessario a seconda delle condizioni cliniche.

C’è ancora chi vive nel Polmone di Acciaio

I metodi manuali utilizzati precedentemente si sono dimostrati insufficienti a garantire gli interscambi di ossigeno necessari per la sopravvivenza. Anche gli altri dispositivi automatici dell’epoca, utilizzati anche nelle manovre rianimatorie quali il “Pulmotor”, non hanno dato risposte soddisfacenti poiché troppo energici e pertanto dannosi per altri organi interessati.

Il respiratore Drinker era invece realizzato appositamente per potersi adattare ai parametri respiratori necessari per i pazienti affetti da poliomielite: era infatti in grado di funzionare stabilmente per lunghissimi periodi fornendo supporto respiratorio al paziente senza procurare alcuna lesione fisica.

Il “Polmone d’acciaio” venne ideato per accogliere pazienti di ogni tipologia: dal bambino di pochi anni di età fino ad un corpulento uomo di due metri per oltre 100 chilogrammi di perso.

Il macchinario è stato in grado di soddisfare tutte le richieste tecnologiche dell’epoca, rappresentando ancora oggi una valida soluzione per i pazienti con determinate patologie respiratorie in alcune parti del mondo.

Durante l’utilizzo, il paziente viene adagiato in posizione supina con la testa che fuoriesce dal respiratore. Un collare di gomma viene applicato attorno al collo per garantire l’isolamento del corpo, all’interno del dispositivo. Ciò risulta fondamentale per il mantenimento di un ambiente pressurizzato. In questo modo, è sufficiente semplicemente far scorrere il lettino verso l’esterno per avere accesso diretto con il corpo del paziente, che così uscirà temporaneamente dal respiratore.

Visto il successo delle sperimentazioni sugli umani, la società “Consolidated Gas” decise di acquistare un respiratore perfettamente funzionante da Harvard, per donarlo al Bellevue Hospital. Pochi giorni dopo, il dispositivo venne utilizzato per fornire supporto ad un paziente incosciente e privo di attività respiratoria che aveva accidentalmente assunto una sostanza tossica non nota. Dopo una lunga degenza, il ragazzo ottenne una guarigione completa.

In una revisione storica, l’ingegnere biomedico Philip A. Drinker (figlio dell’inventore del “Polmone di acciaio”) definì il respiratore Drinker and Shaw come un preistorico esempio di ingegneria biomedica, nato molto prima che tale branca venisse addirittura concettualizzata.

Drinker suppose che il successo del respiratore fosse dovuto alla disponibilità di una fonte energetica, al fatto di avere un trattamento subito applicabile ad ogni caso di poliomielite e al coinvolgimento di un ingegnere in ogni fase di progettazione e sviluppo del dispositivo.

In questo contesto, appare evidente il motivo che permise al respiratore Drinker di avere un tale impatto anche nelle generazioni successive, mentre molti altri dispositivi similari apparsi nel corso dei primi decenni del secolo scorso, finirono immediatamente nel dimenticatoio.

Simone Gussoni

Dott. Simone Gussoni

Il dott. Simone Gussoni è infermiere esperto in farmacovigilanza ed educazione sanitaria dal 2006. Autore del libro "Il Nursing Narrativo, nuovo approccio al paziente oncologico. Una testimonianza".

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