Esattamente un anno fa, iniziava il mio ultimo anno di tirocinio universitario nell'area critica dell'Asl Na 1
Ice power
E’ stato sufficiente concentrarmi su alcune drammatiche stime in merito alle varie emergenze gestite nel quotidiano ospedaliero per partorire una tesi su una tecnica innovativa ancora decisamente poco affermata in Italia: l’ipotermia terapeutica.
L’esigenza di gestire situazioni cliniche con efficace formazione e in tempi brevissimi come l’arresto cardiaco, il brain traumatic injury, l’asfissia perinatale – solo per citarne alcune – ha determinato il ricorso in numerose realtà estere e in misura minore in quelle italiane a questo trattamento capace di potenziare la sopravvivenza cellulare e di preservare l’outcome neurologico dalla mancata ossigenazione cellulare.
L’ipotermia terapeutica si definisce una metodica di trattamento finalizzata a prevenire e a ridurre i danni neurologici mediante l’intenzionale riduzione della temperatura corporea fino al raggiungimento di 32-34°C.
Essa potrebbe sembrare una tecnica del tutto innovativa, ma non è esattamente così: l’utilizzo dell’ipotermia a scopo terapeutico era già noto a Egiziani, Romani e Greci che ne riconobbero ben presto i suoi benefici sulle ferite per facilitarne l’emostasi, ma soltanto 100 anni fa si instaura come strumento neuro-protettore a livello molecolare e basta indicare alcuni suoi effetti per cogliere i benefici di questo strumento:
Durante lo sviluppo di questa trattazione impegnativa ma decisamente appassionante ho voluto concentrare la mia attenzione sulle strategie di raffreddamento attualmente in uso che si possono agevolmente classificare in metodi di raffreddamento non invasivi e invasivi: i primi sono maggiormente applicati perchè considerati semplici da gestire ed economici come le applicazioni o spugnature topiche di ghiaccio, le termocoperte e i materassini con liquido o acqua circolante a temperatura programmabile e le piastre di idrogel provviste di termostato.
Al contrario, tra i dispositivi interni, ritenuti molto precisi e affidabili seppur più costosi, si menzionano i cateteri endovascolari, sia centrali sia periferici per la somministrazione di soluzioni cristalloidi alla temperatura di 4°C, la circolazione extra-corporea e, negli ultimi tempi, sono ancora in fase di studio e limitati su piccoli campioni di pazienti nuovi sistemi selettivi rispettivamente per il lavaggio endonasale con acqua ghiacciata e il lavaggio peritoneale.
In ogni frangente di questo lavoro è stato per me di primaria importanza descrivere ed evidenziare un ruolo infermieristico decisamente vitale ed essenziale nella gestione degli interventi complessi, appropriati e accurati rivolti alla prevenzione dei danni irreversibili e alla salvaguardia degli effetti inattesi.
E proprio in terapia intensiva è possibile constatare questo ruolo indispensabile per il paziente sottoposto al trattamento ipotermico che richiede un’assistenza ad personam: in altri termini, si potrebbe tradurre in un’assistenza intensiva che richiede formazione specializzata, competente esperienza e una profonda consapevolezza dell’alto carico di lavoro.
Il ruolo infermieristico si compone, pertanto, di numerosi elementi che vanno dal monitoraggio intensivo alla rassicurazione e al sostegno psicosociale rivolto al paziente e ai familiari, dalla prevenzione delle ulcere da decubito alla sorveglianza della
La corretta gestione del paziente sottoposto all’ipotermia terapeutica si completa, inoltre, con una multifocale valutazione della sua funzionalità respiratoria, neurologica, emodinamica e della temperatura corporea.
A questo punto, però, è stato lecito chiedersi: in Italia a che punto siamo con questa metodica?
La risposta è sorta senza illusioni: nonostante sia comprovata e scientificamente riconosciuta nel migliorare la qualità dell’assistenza, l’ipotermia terapeutica richiede un’appropriata preparazione del personale sanitario, un aumento dei carichi di lavoro e l’acquisto di presidi idonei; queste ingenti modifiche inducono a temporeggiare e a sospendere in Italia scelte vantaggiose ma economicamente faticose con un suo utilizzo decisamente minimo e sub-ottimale, a differenza di altre realtà estere come la Norvegia e la Finlandia in cui la sua applicazione è ormai attuata a livello nazionale.
L’auspicio dell’evoluzione delle aziende ospedaliere italiane nonchè la speranza che siano rese sempre più consolidate e progredite le capacità, le competenze, la ricerca e l’integrazione verso l’ipotermia terapeutica ancora, purtroppo, poco diffusa e implementata non possono che essere riposti nei professionisti di oggi e di domani, gli stessi che continueranno la nostra sfida per una gestione sempre più autonoma e all’avanguardia.
Anna Arnone
Sitografia
www.ircouncil.it
www.aniarti.it
www.aniarti.it
www.ipotermia.org
sip.it
www.ipotermia.org
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