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Fuga di infermieri all’estero, Sposato (Opi Cosenza): “Trend destinato ad aggravarsi. I nostri professionisti vanno valorizzati”

Fausto Sposato, presidente di Opi Cosenza, spiega le ragioni dell’esodo di infermieri dalla Calabria e dall’Italia verso l’estero.

Negli ultimi cinque circa 200 gli infermieri – in media 40 all’anno – hanno lasciato gli ospedali della Calabria alla ricerca di migliori condizioni economiche e professionali. Molti di loro si sono diretti verso l’estero, e non solo verso i Paesi Ue.

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Un autentico esodo, che Fausto Sposato, presidente di Opi Cosenza, racconta così: “Questi colleghi al momento non hanno alcuna intenzione di tornare in Italia. Soprattutto coloro che hanno scelto di lavorare nei Paesi anglosassoni, poiché un rientro significherebbe la perdita di ogni competenza acquisita: sperienza che in Italia non si è ancora in grado di valorizzare”.

Come noto, il fenomeno non riguarda solo la Calabria, ma è ormai diffuso in tutta Italia. Ed è sempre il Regno Unito a rappresentare il principale polo di attrazione. “Ogni anno – riferisce Sposato – mediamente 400 infermieri lasciano l’Italia per trasferirsi nei Paesi anglosassoni. E sono circa 20mila gli infermieri formati in Italia che si trovano all’estero”.

La meta preferita è il Regno Unito (da un minimo di 3.100 circa all’anno nel post-pandemia a un massimo di 4.700 nel 2015, considerando solo gli ultimi anni), seguito da Svizzera (sempre intorno ai 1.100-1.200 l’anno) e Germania (intorno ai 1.000 l’anno), ma ultimamente vanno “di moda” anche i Paesi arabi.

“E il dato generale potrebbe essere sottostimato – spiega Sposato -, perché, come nel caso della Germania, non tutti i Paesi rispondono necessariamente alla domanda di dati dell’Ocse, anche se nella rilevazione disponibile sono comunque presenti i Paesi principali dove è verosimile l’emigrazione”.

Se poi si somma il fenomeno dell’emigrazione a quello dell’abbandono della professione (in Italia il 36% degli infermieri dichiara di voler lasciare il luogo di lavoro entro 12 mesi; di questi, il 33% dichiara di voler lasciare la professione) “è subito chiaro come lavorare sull’attrattività della professione non sia più una questione rimandabile”.

E si tratta di un trend destinato ad aggravarsi. “Agli oltre 60mila che già mancano si aggiungeranno i circa 100mila che si avviano al pensionamento nei prossimi dieci anni”, continua Sposato, che poi conferma la ragione principale di questa fuga: “Gli stipendi degli infermieri in Italia hanno differenze retributive, a parità di potere d’acquisto, con quelli annuali in Germania, Svizzera e Regno Unito, rispettivamente del 56%, 46,2% e 20% in meno”.

Ma non è solo una questione economica: “Neppure l’ultimo contratto, chiuso nel 2021, ha migliorato di molto una situazione già difficile, anche a causa della limitata possibilità di sbocchi. Per questi motivi e per la difficoltà di fare carriera nei vari e dispersivi sistemi regionali la professione infermieristica ha perso attrattività”.

Sposato ricorda i costi sostenuti per la formazione di infermieri e medici, che però non sempre restano in Italia: “Un infermiere costa circa 22.500 euro per cinque anni (13. 500 sul triennio: circa 4. 500 euro/anno). Quella di un medico 41.000 euro per sei anni di laurea, a cui si aggiungono i costi per la specializzazione, per arrivare a circa 150-160. 000 euro pro-capite. Tutto ciò si è tradotto negli ultimi anni in circa 3,5-3,6 miliardi investiti nella formazione di medici e infermieri che sono ormai patrimonio di altre nazioni”.

Tornando alla realtà calabrese, Sopasto ribadisce: “Nella nostra regione la professione infermieristica non è affatto valorizzata, tranne in casi sporadici. Una circostanza che aggrava le differenze con le regioni virtuose, che invece investono su questi professionisti”.

Non manca, comunque, chi fa il percorso inverso, tornando in Mrìeridione dal Nord Italia e dall’estero, dove il costo della vita è decisamente più elevato. “Cogliere questo trend opposto e trarne vantaggio potrebbe essere una soluzione per la carenza dei professionisti infermieri – conclude Sposato -. Il regionalismo differenziato aumenterà le differenze e si arriverà a ragionare per comparti stagni, con regioni che pagheranno e incentiveranno i professionisti per attrarli verso il loro sistema sanitario. Chi avrà maggiori risorse ne trarrà beneficio. Pertanto non è più procrastinabile un sistema che metta al centro gli infermieri, custodi dei bisogni dei cittadini e risolutori di un sistema che altrimenti crollerebbe”.

Redazione Nurse Times

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