Regionali

Friuli Venezia Giulia, le professioni sanitarie sono poco attrattive. Le proposte della Cgil per invertire la tendenza

Rendere di nuovo attrattive le professioni sanitarie. Questa la sfida che la Cgil vuole provare a vincere in Friuli Venezia Giulia. I rappresentanti del sindacatone hanno parlato nei giorni scorsi a Udine, durante un incontro nel quale il segretario generale della di Cgil Fvg, Michele Piga, e la segretaria regionale di Cgil Fp, Orietta Olivo, hanno illustrato un documento incentrato sulle criticità che affliggono il personale e sulle strategie per invertire la tendenza.

La contrattazione nazionale resta la leva fondamentale per migliorare le condizioni economiche e di lavoro del personale. Non parte con queste premesse la trattativa per il Ccnl: quanto stanziato dal Governo corrisponde ad aumenti del 5,78%, a fronte di un’inflazione che nel triennio 2020-2022 ha superato il 15%. Uno squilibrio che penalizza il personale e non riconosce il valore del suo lavoro, in evidente contraddizione con quanto era stato dichiarato durante la pandemia.

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Ma per la Cgil esistono anche sfide che chiamano direttamente in causa il ruolo della Regione e delle aziende sanitarie: migliorare l’organizzazione del lavoro, anche attraverso il confronto con le organizzazioni sindacali e le Rsu; potenziare i servizi territoriali; incrementare i riconoscimenti economici di carattere regionale; prevedere incentivi abitativi per il personale e borse di studio per gli studenti; aumentare la formazione di operatori socio-sanitari (oss). “Solo con un intervento deciso e sistematico – si legge nel documento – sarà possibile affrontare le sfide future e garantire la qualità del servizio sanitario pubblico, tutelando il diritto alla salute dei cittadini”.

Sebbene il numero dei lavoratori del Servizio sanitario regionale (20.662 a fine 2023) appaia in lenta ripresa a partire dal 2019 (19.926), la capacità operativa non consente di gestire le sfide quotidiane: dall’intasamento dei reparti di pronto soccorso alle liste di attesa. Un altro problema strutturale è l’età avanzata del personale: nel 2022 ben 3.880 dipendenti si trovavano nella fascia di età compresa tra 55 e 59 anni, e quasi 2.000 nella fascia tra 60 e 64 anni. Oltre uno su quattro è over 55, quindi in forte difficoltà a gestire la pesantezza di turni e mansioni, a maggior ragione se si considera che oltre il 20% dei lavoratori presentano limitazioni fisiche o funzionali.

Nonostante il Friuli Venezia Giulia vanti un rapporto tra infermieri e abitanti superiore alla media nazionale (6,9 contro 5,1), si colloca al di sotto delle indicazioni Ocse (9,9 ogni 1.000 abitanti) e deve fare i conti con la fuga di personale verso il privato. Tra il 2020 e il 2023 oltre 2.000 operatori hanno deciso di lasciare. Negli ultimi anni, parallelamente, la partecipazione ai concorsi regionali è drasticamente diminuita: se nel 2018 alla selezione per 466 posti da infermiere avevano partecipato oltre 4mila candidati, nel 2024 se ne sono presentati solo 280, meno dei 340 posti disponibili.

Sulla fuga e sulla scarsa attrattività del settore non incidono solo i bassi salari, ma anche la pesantezza del lavoro, che rende sempre più difficile la conciliazione con la vita privata di medici, infermieri e oss. Le ore di straordinario sono passate dalle 400mila del 2014 a oltre un milione nel 2023, mentre le giornate di ferie non godute sono aumentate da 300mila a 410mila. Nel solo 2023, inoltre, sono stati necessari ben 27mila richiami in servizio durante i giorni di riposo per coprire le assenze.

Ad aggravare ulteriormente il quadro, la piaga delle aggressioni: in Friuli Venezia Giulia se ne sono verificate 483 (fisiche o verbali) solo nel 2023, di cui 445 hanno colpito lavoratrici donne. Tra queste, 225 aggressioni hanno riguardato operatori con più di 50 anni. Gli infermieri sono stati i più colpiti, con 365 episodi di violenza.

L’aggravarsi del fenomeno, per la Cgil, è anche un indice della frustrazione dei cittadini, “che non trovano nel sistema sanitario pubblico le risposte previste dalla Costituzione”. Per contrastarlo, più che un inasprimento delle pene, “serve un ambiente di lavoro sicuro: la tutela delle professioni non passa attraverso una logica punitiva, ma attraverso un migliore riconoscimento sociale ed economico del ruolo fondamentale del personale sanitario”.

L’integrazione tra ospedale e territorio, inoltre, ha continuato a rappresentare un punto debole nell’organizzazione sanitaria. Un esempio recente, si legge nel documento, è il corso regionale per infermieri di famiglia avviato un paio di anni fa, con l’obiettivo di formare circa 400 professionisti specializzati.

“La formazione si rivolge principalmente a chi già lavora nel settore dell’assistenza domiciliare, che continuerà a svolgere le stesse mansioni, ma con un titolo diverso: un vero cambiamento si sarebbe visto solo con l’assunzione di 400 nuovi infermieri da destinare agli ospedali, per permettere a chi già lavora di spostarsi sul territorio con una corretta formazione”.

Fondamentale per l’efficacia dell’assistenza territoriale è il ruolo dei medici di medicina generale, liberi professionisti convenzionati con il servizio sanitario. Un assetto, questo, che la Cgil giudica non più sostenibile, sollecitando un’assunzione diretta da parte del servizio pubblico. “Riforma – si legge ancora nel documento – che ci auguriamo venga finalmente realizzata almeno per i medici di nuova formazione.

Altra criticità su cui intervenire è poi “una distribuzione del personale dipendente nel ruolo sanitario, non sufficientemente equilibrata tra le diverse aziende, specie se parametrata al numero della popolazione”. L’Azienda sanitaria del Friuli Occidentale (AsFO), mostra infatti un tasso di incidenza del personale sanitario pari a 79,6 unità ogni 10mila abitanti. Valore assai inferiore rispetto ad Azienda sanitaria universitaria del Friuli Centrale (Asu FC), con 116,5 unità ogni 10mila abitanti, e Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asu GI), con 118,1 unità ogni 10mila abitanti).

Si nota un importante calo, attorno al 5% nei tre anni, del personale infermieristico, e addirittura del 10% (in Asu GI e Asu FC) del personale medico, con gravi sofferenze nei servizi sia territoriali che ospedalieri. Per la Cgil è un’ulteriore conferma della disaffezione verso le professioni sanitarie comune a tutto il Paese, ma anche dell’assenza di strategie per trattenere chi è già assunto e attrarre potenziali nuovi lavoratori.

“Il dato reale del Friuli Venezia Giulia è di contrazione marcata tra medici e infermieri, indice di una carente programmazione da parte dell’amministrazione regionale, che crea gravi problemi nell’organizzazione delle attività sanitarie pubbliche. Si cerca di compensare assumendo operatori socio-sanitari, che però hanno un ruolo diverso nel sistema sanitario: complementare, ma non sostitutivo”. Da qui l’esigenza di nuove strategie, basate anche su un confronto con le rappresentanze sindacali e su un loro effettivo coinvolgimento nelle politiche sanitarie.

Redazione Nurse Times

Fonte: Udine Today

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