Le crisi epilettiche sono episodi di attività elettrica anormale nel cervello che causano varie manifestazioni cliniche, che possono includere movimenti involontari, alterazioni della coscienza, sensazioni strane o altri sintomi, a seconda dell’area del cervello coinvolta e dell’intensità dell’attività epilettica.
Le crisi epilettiche possono essere categorizzate in diversi tipi in base ai sintomi che producono. Alcuni tipi comuni di crisi epilettiche includono:
Le cause delle crisi epilettiche possono variare e includere anomalie cerebrali, lesioni cerebrali, infezioni, disturbi genetici, squilibri chimici nel cervello o altri fattori. Il trattamento delle crisi epilettiche dipende dalla loro causa e dalla loro gravità e può includere farmaci antiepilettici, interventi chirurgici, terapie dietetiche specifiche o altre opzioni. È importante consultare un medico se si sospetta di avere avuto una crisi epilettica o se si conosce qualcuno che potrebbe averne avute.
Le crisi focali, precedentemente conosciute come crisi parziali, sono un tipo di crisi epilettica che coinvolge solo una parte del cervello. Questo tipo di crisi può manifestarsi con una vasta gamma di sintomi, a seconda dell’area del cervello coinvolta e dell’intensità dell’attività epilettica. Le crisi focali possono essere classificate ulteriormente in due sottotipi principali:
Le crisi focali possono rimanere localizzate in una piccola parte del cervello o possono diffondersi ad altre aree del cervello, portando a sintomi più gravi o coinvolgendo entrambi gli emisferi cerebrali, causando così una crisi generalizzata.
Il trattamento delle crisi focali dipende dalla loro causa e dalla loro gravità e può includere l’uso di farmaci antiepilettici, interventi chirurgici, terapie dietetiche specifiche o altre opzioni.
«In questi casi, se l’origine neurologica delle crisi è di tipo focale, cioè limitata a un gruppo ben preciso di neuroni, l’intervento chirurgico può essere un’ottima opzione terapeutica, anche perché ha percentuali di efficacia molto alte».
In altri casi, più difficili, si può invece prendere una considerazione una chirurgia palliativa, che prevede l’impianto di uno stimolatore vagale: «Pensiamo a una sorta di pacemaker che viene impiantato a livello toracico o ascellare e che, attraverso l’azione sul nervo vago, inibisce la propagazione delle crisi». Un’altra possibilità terapeutica per le forme farmaco-resistenti è la dieta chetogenica, ad alto contenuto di grassi e basso tenore di carboidrati, da seguire sotto stretto controllo medico. «Per alcune condizioni metaboliche come la sindrome da deficit di Glut1è una vera e propria dieta di precisione, ma funziona anche in altre forme di epilessia, soprattutto in età pediatrica».
Negli ultimi anni, inoltre, gli avanzamenti della ricerca stanno permettendo di capire sempre meglio i meccanismi genetici e metabolici alla base di alcune forme di epilessia, un passo fondamentale per modulare le terapie o proporne di specifiche. È per esempio il caso dell’epilessia associata alla sclerosi tuberosa e dipendente da alterazioni in un particolare percorso molecolare: «Ebbene, esisteva già un farmaco che agisce proprio su quel percorso e che si è rivelato molto utile nel ridurre la frequenza delle crisi in pazienti resistenti ad altri farmaci».
Ed è ancora più recente l’acquisizione di conoscenze sul ruolo, per alcune forme di epilessia, del sistema immunitario o dell’asse microbiota-intestino-cervello: nuove frontiere dalle quali ci si aspettano avanzamenti anche in terapeutico, a conferma di quanto ci sia ancora da fare sull’epilessia. Anche in questo caso, non manca il coinvolgimento dei ricercatori Telethon, a partire dalla stessa Vignoli.
Molte delle malattie genetiche rare delle quali si occupa la ricerca Telethon hanno, tra i loro sintomi, proprio l’epilessia, spesso in forma farmaco-resistente. Per questo, sono numerosi i progetti di ricerca dedicati a comprendere meglio le basi genetiche e molecolari di queste forme di epilessia o a studiare nuove possibilità terapeutiche: nel complesso, Fondazione Telethon ha investito oltre 14,6 milioni di euro nella ricerca dedicata all’epilessia, finanziando 73 progetti di ricerca e 79 ricercatori. Ecco alcuni esempi.
La sindrome di Dravet è una grave encefalopatia epilettica di origine genetica, causata principalmente da mutazioni del gene codificante per una proteina chiamata Nav1.1 che contribuisce a regolare l’attività elettrica di un tipo particolare di neuroni. Il conseguente squilibrio nell’attività neuronale si traduce in convulsioni molto gravi, resistenti ai farmaci. Da diversi anni il gruppo di ricerca guidato da Gaia Colasante dell’Ospedale San Raffaele di Milano lavora allo sviluppo di un trattamento di terapia genica che mira a ripristinare livelli normali della proteina Nav1.1. Il suo ultimo progetto, appena finanziato, ha l’obiettivo di aumentare l’efficienza con la quale la sequenza di DNA del gene viene “trascritta” nella molecola di RNA messaggero che a sua volta dovrà portare l’informazione all’apparato cellulare deputato alla costruzione della proteina Nav1.1.
Anche in questo caso la malattia oggetto della ricerca è una grave encefalopatia epilettica. Poiché i pazienti con la sindrome hanno spesso anche problemi gastrointestinali e sono sempre più numerosi i risultati della ricerca che suggeriscono una correlazione tra alterazioni del microbiota intestinale e frequenza e gravità delle crisi epilettiche, il gruppo di ricerca di Aglaia Vignoli ha deciso di avviare un primo test clinico relativo proprio a questa correlazione.
In breve, si tratta di valutare l’effetto sulle condizioni neurologiche di pazienti con disordine da deficit di CDKL5 di integratori in grado di modulare lo stato del microbiota intestinale, riducendo uno stato di infiammazione cronica che può essere associato a una sua alterazione. Il progetto è finanziato dall’associazione “CDKL5-Insieme verso la cura”, nell’ambito dell’iniziativa Seed Grant di Fondazione Telethon.
Il primo passo per arrivare a una sperimentazione clinica è sempre la ricerca di base. Per trovare nuove terapie, bisogna capire bene quali sono i meccanismi alla base di una malattia e per farlo talvolta è necessario indirizzare la propria ricerca anche dove nessuno – o pochi – lo ha mai fatto. Non è facile per un ricercatore fare una scelta del genere, perché se da un lato è vero che il suo compito è proprio “illuminare l’ignoto”, dall’altro è vero che se il buio è profondo è davvero molto difficile muoversi. Stimolare questo tipo di ricerca, però, è proprio l’obiettivo del bando congiunto Fondazione Telethon – Fondazione Cariplo, che premia proprio i progetti di ricerca dedicati ai cosiddetti geni T-dark, chiamati così perché se ne sa davvero molto poco.
Tra questi geni ce n’è uno, chiamato HPCAL4, che rappresenta l’oggetto della ricerca di Lorenzo Cingolani, dell’Università di Trieste. Le poche informazioni disponibili su questo gene ci dicono che interagisce con un altro gene (CACNA1A) fondamentale per la comunicazione tra cellule nervose e coinvolto, quando mutato, in varie malattie del sistema nervoso, tra le quali alcune encefalopatie epilettiche. CACNA1A, però, è un gene molto grande e con una struttura complessa, sul quale è molto difficile intervenire: da qui l’idea di provare ad agire su HPCAL4, più piccolo, semplice e adatto allo sviluppo di interventi terapeutici. Obiettivo del progetto, quindi, è valutare se questo gene possa essere un buon bersaglio molecolare per sviluppare nuove strategie terapeutiche anche per forme di encefalopatia epilettica.
Redazione Nurse Times
Fonti: www.telethon.it
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