Decadimento cognitivo lieve: le stime dell’Iss sui migranti over 60 residenti nell’Ue

Sono numeri allarmanti, quelli diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità e relativi al 2018.

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Su un totale di 12.730.960 migranti di età compresa tra 60 e 89 anni e residenti nell’Unione Europea (Ue) nel 2018, i ricercatori dell’Iss hanno stimato circa 680mila casi di decadimento cognitivo lieve (mild cognitive impairment – MCI). Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease. La proporzione di casi di MCI tra i migranti (rispetto al totale nella popolazione residente) varia dall’1.1% della Romania al 54.1% del Liechtenstein, con un incremento globale in quattro anni del 34% (dai 511.624 casi del 2014 ai 686.000 del 2018). In Italia sono stati stimati 34.655 casi tra i migranti (rispetto ai 916.865 nella popolazione generale), pari al 3.8% degli stranieri residenti nel nostro Paese.

“Il MCI e la demenza rappresentano, e presumibilmente saranno sempre più, una problematica rilevante in termini di sanità pubblica nei migranti che vivono in Europa – dichiara Marco Canevelli, ricercatore dell’Iss e coordinatore dello studio –. Le presenti stime, oltre ad assumere una particolare rilevanza alla luce dei cambiamenti sociodemografici in atto, confermano la necessità di sviluppare e adottare modelli di cura e assistenza che siano sensibili alle diversità, e inclusivi nei confronti di una popolazione estremamente variegata sotto il profilo etnoculturale. Per questo è necessario sviluppare e adottare strumenti che consentano di eseguire una valutazione cognitiva cross-culturale”.

Al riguardo, continua Marco Canevelli, “sarebbe opportuno ragionare sul possibile coinvolgimento di figure professionali come interpreti e mediatori culturali, dal momento che l’identificazione del MCI può risentire ed essere complicata da determinanti etnoculturali che possono influenzare la percezione personale e sociale del funzionamento cognitivo individuale, nonché l’attendibilità della valutazione cognitiva”

.

Così, invece, Nicola Vanacore, responsabile scientifico dell’Osservatorio Demenze dell’Iss: “In un contesto di evidente aumento dei flussi migratori dai Paesi in via di sviluppo verso i Paesi occidentali, che comporta anche un cambiamento nell’offerta sanitaria, ‘contare’ diventa importante. In tal senso le stime elaborate in questo studio rappresentano la base da cui partire nell’ambito del progetto “ImmiDem – Dementia in Immigrants and ethnic minorities: clinical-epidemiological aspects and public health perspectives”, il primo dedicato alla prevalenza della demenza nella popolazione di immigrati e nelle minoranze etniche, coordinato dall’Iss, con l’obiettivo di valutare l’accesso e la presa in carico da parte dei servizi dedicati e favorire percorsi di cura adeguati”.

Lo studio – Il numero di casi di MCI nei migranti anziani (≥ 60 anni) che risedevano nei 28 Paesi dell’Unione Europea, in Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera, al gennaio 2018, è stato calcolato moltiplicando il numero di migranti, fornito da Eurostat, aggiornato al 2019, e i tassi di prevalenza età-specifici del MCI desunti dai dati armonizzati prodotti dalla COSMIC Collaboration.

Le demenze nel mondo – Il rapporto dell’Oms riporta stime di crescita allarmanti della demenza: 35,6 milioni di casi nel 2010, che raddoppieranno nel 2030 e triplicheranno nel 2050, con 7,7 milioni di nuovi casi all’anno (uno ogni quattro secondi), e il cui impatto economico sui sistemi sanitari sarà di circa 604 miliardi di dollari l’anno, con incremento progressivo. In Italia il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre 1 milione (di cui circa 600mila con demenza di Alzheimer) e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari.

Redazione Nurse Times

 

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