Davide contro Golia: cosa c’entra una formica col rischio clinico?

Le riflessioni di Giovanni Trianni, infermiere legale forense e nostro collaboratore, sugli episodi dell’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli.

A tutti noi vengono in mente rimandi al passato con pensieri di lotte politiche, stravolgimenti di assetti aziendali con braccio di ferro tra personale precario e direttore generale, scontri intestini tra direttore di servizio e poveri “sottoposti” (magari, poveri infermieri). Insomma, specie di miti fantastici utilizzati ogni qualvolta si vogliano paragonare due forze contrapposte e inesorabilmente impari.

Ecco quello che rappresentano questi due nomi altisonanti, Davide e Golia: la forza e l’astuzia a confronto, l’irruenza e l’inganno, la caparbietà, la certezza, la lungimiranza, il segno divino. Ma a seconda dei punti di vista, dell’esperienza di ognuno di noi e l’essenza del significato che attinge dal nostro intuito, facciamo fatica, in verità, a esprimerci circa la rappresentazione dell’uno e dell’altro.

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Purtroppo la cronaca richiama e stimola l’intelligenza, il paragone, il giudizio e la condanna. Qui il mito prende un significato tragico bisognoso di risposte, necessitante di etichettatura di responsabilità, tanto da spingerci e chiedere cosa ci faccia una formica, ma in questo caso un “branco” di formiche (piccole e insignificanti), in un ambiente garantito sano e asettico a cui affidarci nel momento del bisogno, quale l’ambito sanitario ospedaliero. Come può essere che un giorno una formica guardò dal basso verso l’alto la struttura del San Giovanni Bosco di Napoli e decise di sfidarla? E nel farlo chiese aiuto ai suoi parenti e amici tutti? Chi sarebbe stato, quindi, a indossare la maschera di Davide e chi quella di Golia?

Non lasciamoci però trarre in inganno dalle stature, per favore! Da un lato un ente sanitario, una “macchina da guerra” appositamente messa in piedi (anche se claudicante) per combattere le malattie, le affezioni, l’incongruente ma inesorabile disgregarsi della salute, attraverso ”truppe di assalto” di equipe preparate, scese in campo su “carri armati” tecnologici e precisi 5.0, chiamati a sanare, investiti di taumaturgìa per operare i miracoli. Dall’altro un’orda di fameliche formiche che, scientemente consapevoli della rigidità invernale, già a partire da novembre, cercavano di fare incetta di cibo: molecole di glucosio e potenti e fresche proteine provenienti dalle infusioni endovenose della malcapitata e povera paziente 70enne originaria dello Sri Lanka ricoverata nel nosocomio napoletano.

Lo scontro, ormai venuto alla ribalta col triste episodio che aveva visto la esanime paziente invasa dagli insetti, mobilitò i pensieri accusatori dell’opinione pubblica, con guai anche legali  per l’azienda e il personale. Su chi scaricare la colpa? Chi non vigilò e permise questo? Allora, alla fine, chi vinse tra Davide e Golia?

Davide e Golia ebbero un solo incontro-scontro. Qui la battaglia, che andava avanti dal 10 di novembre, si è purtroppo conclusa con il decesso della sfortunata signora a fine anno. Quindi né Davide né Golia hanno avuto la peggio, bensì il terzo “incomodo”. Come dire: tra i due litiganti il terzo…muore.

Ora entra in gioco il legale della signora, che denuncia lo stato di abbandono in cui versava l’assistita (denuncia già partita quando era ancora in vita). Ma il punto della questione sarebbe il grado spaventosamente avanzato delle numerose lesioni da decubito “arrivate fino all’osso”, denotando una malpractice

nell’assistenza… e, non l’ho letto da nessuna parte… INFERMIERISTICA?

Perchè arrivare a tanto? Sta di fatto che i pm stanno procedendo per omicidio colposo, modificando l’imputazione e disponendo un’imminente esame autoptico. Quindi si stabiliranno eventuali colpe, per cui sono stati nominati quattro consulenti, un medico legale, un cardiochirurgo, un anatomopatologo e un direttore sanitario aziendale. Ma nessun infermiere. Figuriamoci, un infermiere legale forense.

Tutti all’unisono dovranno accertare se sono stati rispettati i protocolli medico-chirurgici e, giacchè ci sono, seduti a tavolino, amichevolmente, discuteranno di cosa ne pensano dell’assistenza infermieristica, su chi fosse Florence Nightingale, su quante volte girare un paziente sul fianco e ogni quante ore. Cioè, visto che manca l’inutile figura dell’infermiere, che non ha partecipato affatto al processo di cura della paziente, si sostituiranno come succede da tempo a lui, meschino, relegato ancora a mero esecutore passivo di ordini.

Per suggellare ancora la sparizione dal “potere decisionale” in autonomia da parte di quella “fettina piccola piccola” di professionisti della sanità Italiana (pochini 440mila infermieri), con una nota incandescente la direzione salute della Regione Campania afferma che: “la paziente è stata curata con tutte le attenzioni mediche e umane”. Cioè cosa, cosa? E’ stata curata solo dai medici? Ancora si apprende che l’Asl Napoli “presenterà una denuncia a tutela del lavoro svolto dal personale medico sanitario”. Solo quello, insomma. Tabula rasa per il resto.

Poi mi spingo nel baratro più profondo, quando si parla del decesso “nonostante trattamenti massimali e intensivi”. Non so, quindi, se infine qualcosa c’entriamo. Cioè se siamo noi che abbiamo contribuito al massimale e all’intensività delle cure, nel bene e nel male, o è stato solo il personale medico.

Una cosa è certa, le piccole formiche non sapevano di scatenare un tal putiferio e rumor a cascata, dal loro semplice accumulo di cibo per l’inverno. Quindi, nella tragicità dell’evento, ci troviamo davanti a fatti inequivocabili: un paziente è morto in ospedale; sono fosche le condizioni di salute “pre e post formiche”; dell’assistenza nosocomiale ai pazienti sono pochi a discutere. Ma quando c’è da pagare il giudice non fa sconti.

L’infermiere è dentro come il prezzemolo. Mi auguro che gli infermieri implicati abbiano segnalato le condizioni strutturali precarie, abbiano segnalato le condizioni di scarsa sanificazione ambientale, abbiano seguito assistendo la paziente al meglio delle loro capacità in base alle best practice (ma le lesioni da decubito fino all’osso?). Il rischio clinico può passare anche attraverso il percorso di una formica, che lo evidenzia. E mi chiedo: tutto sarebbe venuto ugualmente a galla se quel giorno le formiche non fossero passate da lì o se la “sabbia del tempo” avesse coperto il caso? Alla professionalità e alla coscienza di ognuno la sentenza.

Un’ultima cosa. Al personale medico che si appresta all’esame autoptico, e che valuterà le l.d.d.: pensate un poco a noi; faremo lo stesso per voi. Sarà come essere vicini.

Giovanni Trianni
Infermiere legale forense

 

Redazione Nurse Times

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