Categorie: Normative

CASSAZIONE: LEGITTIMO IL RIFIUTO DEL DIPENDENTE PUBBLICO A SVOLGERE LAVORO STRAORDINARIO ANCHE IN CASO DI ESIGENZE STRAORDINARIE

La possibilità da parte del dirigente di obbligare, per esigenze di servizio, i propri dipendenti allo svolgimento di attività straordinarie, incontra il limite dell’accettazione da parte dei dipendenti del maggior orario di lavoro a loro richiesto. Il dirigente, pertanto, che vede rifiutarsi l’adempimento da parte dei proprio personale allo svolgimento delle attività richieste quale lavoro straordinario, non ha più a disposizione l’arma della sanzione disciplinare, in quanto l’eventuale rifiuto alle prestazioni straordinarie richieste, incontra il limite anche nel lavoro pubblico della necessaria ed obbligatoria accettazione da parte del dipendente. Questa è la sintesi dei contenuti rinvenibile nella recente Sentenza del 04 agosto 2014, n. 17582 della Corte di Cassazione, sezione del lavoro.

La pretesa del Comune riguardava la necessità di avvalersi della prestazione lavorativa di un dipendente, con la qualifica di “esecutore amministrativo-messo comunale”, durante le riunioni del Consiglio Comunale fissate in ore serali e quindi fuori dal normale orario di lavoro.
Per il Comune il dipendente avrebbe violato le disposizioni di cui agli artt. 2 e 5 del D.Lgs.165/01, che conferiscono il potere alla P.A. di richiedere ai propri dipendenti l’effettuazione di lavoro straordinario in quanto ciò rientra tra le facoltà attribuite alla pubblica amministrazione dalle disposizioni citate sul pubblico impiego, le quali si estrinsecano attraverso atti e determinazioni organizzative al fine di assicurare la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa. Inoltre, veniva evidenziato come la convocazione del Consiglio comunale nelle ore serali costituiva una eccezionale esigenza, dettata dal consentire ai consiglieri “di dedicarsi durante il giorno allo svolgimento delle proprie attività lavorative”. Dunque, la prestazione di lavoro straordinario poteva essere disposta sulla base delle citate esigenze di servizio individuate dall’Amministrazione, attribuendo dunque a questa il potere di imporre lo straordinario, anche a prescindere dal consenso del pendente.

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La Corte Costituzionale esamina preliminarmente la fonte contrattuale del comparto degli enti locali, simile a quello della sanità,  precisando che:
·      il D.P.R. n. 268 del 1987, che ha recepito la disciplina prevista dagli accordi sindacali per il triennio 1985- 1987 relativo al personale per il comparto degli enti locali, prevede, al primo comma, che le prestazioni di lavoro straordinario sono rivolte a fronteggiare situazioni di lavoro eccezionali e non possono essere utilizzate come fatto ordinario di programmazione del tempo di lavoro e di copertura dell’orario di lavoro, mentre il secondo comma stabilisce che la prestazione di lavoro straordinario è disposta sulla base delle esigenze individuate dall’amministrazione, rimanendo esclusa ogni forma generalizzata di autorizzazione;
·      tali disposizioni, sono rivolte agli amministratori ed appaiono finalizzate a limitare il ricorso al lavoro straordinario ai fini del contenimento della spesa pubblica. In tal senso deve intendersi il richiamo alle “situazioni di lavoro eccezionali” ed alle “esigenze di servizio individuate dall’amministrazione”, in mancanza della previsione di un obbligo, per il dipendente, dello svolgimento di lavoro straordinario;
·      alcun obbligo per il dipendente è previsto dal CCNL 1994-1997 per il personale del comparto delle regioni e delle autonomie locali, il quale detta disposizioni in materia di ore settimanali di lavoro e di articolazione dell’orario di lavoro, nonché dal successivo CCNL 1998-2001 dello stesso comparto, il quale si limita a dettare previsioni in ordine alle risorse finanziarie utilizzabili per il lavoro straordinario e per il contenimento dello stesso, fissando il limite annuale massimo di 180 ore.

Precisato, pertanto, dalla Corte Costituzionale, la mancata obbligatorietà del lavoro straordinario rinvenibile nei contratti collettivi, il rinvio alle disposizioni di cui al D.Lgs. n.66/2003 appare fondamentale. Infatti, nel caso di specie trova applicazione l’art. 5-bis del R.D. n. 692 del 1923, nel testo di cui all’art. 1 D.L. n. 335 del 1998, convertito, con modificazioni nella lege n. 409 del 1998 – disposizione questa riprodotta dal D. Lgs. 8 aprile 2003 n. 66, art. 5, emanato in attuazione delle direttive CE – dove viene evidenziato che il ricorso al lavoro straordinario deve essere contenuto e che, “in assenza di disciplina ad opera dei contratti collettivi nazionali”, esso “è ammesso soltanto previo accordo tra datore e prestatore di lavoro”. In merito, poi, alle rilevate esigenze produttive (nel caso di specie le riunioni del Consiglio Comunale), la corretta interpretazione della normativa è nel senso che non solo è obbligatorio il consenso del lavoratore, ma per essere legittimo lo straordinario deve essere anche legato ad esigenze straordinarie. In altri termini, nel caso sottoposto a scrutinio del massimo consesso, si precisa che “oltre all’imprescindibile consenso del prestatore di lavoro, occorre anche la sussistenza delle esigenze anzidette, peraltro non fronteggiabili attraverso l’assunzione di altri lavoratori”.
Anche a fronti di precedenti giurisprudenziali in materia, la Corte ha affermato che, anche nelle ipotesi in cui la contrattazione collettiva prevede la facoltà, per il datore di lavoro, di richiedere prestazioni straordinarie, l’esercizio di tale facoltà deve essere esercitato secondo le regole di correttezza e di buona fede, poste dagli arti. 1175 e 1375 cod. civ., nel contenuto determinato dall’art. 41, secondo comma, Cost. (cfr. Cass. 5 agosto 2003 n. 11821; Cass. 7 aprile 1982 n. 2161 nonché Cass. 19 febbraio 1992 n. 2073, la quale ha escluso la configurabilità dell’illecito disciplinare in relazione al rifiuto da parte del lavoratore di riprendere servizio dopo circa otto ore dalla fine del turno notturno per svolgere lavoro straordinario, non essendo la relativa richiesta giustificata da esigenze aziendali assolutamente prevalenti).
Tale sentenza appare particolarmente innovativa circa la configurabilità del lavoro pubblico alla stessa stregua di quello privato, da cui discende come conseguenza la facoltà da parte del lavoratore di poter rifiutare lo svolgimento di lavoro straordinario, anche in presenza di un ordine di servizio disposto dal dirigente della sua struttura, il quale agisce quale datore privato e non in ambito pubblicistico. Il mancato assenso del lavoratore alla prestazione straordinaria richiesta, non potrà avere conseguenze sanzionatorie in ambito disciplinare, restando nella sua piena disponibilità la decisione di svolgere o meno le ore supplementari richieste. Resta da verificare se tale possibilità sia prevista anche per il personale appartenente alla polizia locale, stante le funzioni tipiche della stessa, ossia se anche per tale personale siano applicabili i principi sopra enunciati dai giudici della nomofilachia.

Fonte: Fials.it

Redazione Nurse Times

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