Coronavirus, Rasi (Ema): “L’anno del vaccino sarà il 2021”

Secondo il direttore esecutivo dell’Agenzia europea del farmaco, entro la fine del 2020 potrebbe arrivare solo qualche dose simbolica.

L’anno del vaccino anti-Covid-19 sarà il 2021. Che arrivi prima ad ampie fasce di cittadinanza è “teoricamente possibile, ma realisticamente poco probabile”. Mentre “entro fine anno si potrà avere qualche dose simbolica se tutto fila liscio, cosa sulla quale personalmente sono molto poco ottimista”Guido Rasi, direttore esecutivo dell’Agenzia europea del farmaco (Ema), mostra la pazienza serena dello scienziato e la lucidità di chi vede le cose dalla stanza dei bottoni: “Di fatto, nonostante tanti annunci – dichiara in un’intervista all’Adnkronos Salute –, nessuna azienda ci ha ancora fornito una previsione sulla data in cui ci sottoporrà i primi dati in base ai quali poter decidere un via libera”. Da qui la stima: “L’anno giusto è il 2021 specie se si parla di iniziare a vaccinare fette significative di popolazione”.

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“In tutto – fa il punto Rasi –, sotto la nostra osservazione ci sono ormai circa 200 candidati vaccini e abbiamo avuto contatto con 38 sviluppatori a diversi livelli di sperimentazione”. Aspiranti “scudi” che sfruttano tecnologie differenti, coprendo in pratica “tutto lo spettro delle opzioni messe a punto in questi anni”. Si va “dai vaccini che utilizzano i classici virus inattivati o indeboliti” fino a “quelli più nuovi cosiddetti a Rna, con tutte le promesse e dubbi delle cose innovative su cui c’è meno esperienza”.

Sopra la scacchiera in cui si gioca la partita cruciale contro Sars-CoV-2, la “finalissima” scienza-coronavirus: “Non ci sono strategie più promettenti di altre – dice il numero uno dell’Ema –. Fra i prodotti giunti alla nostra attenzione ce ne sono almeno sette in fase di sperimentazione piuttosto avanzata, e il nostro compito è quello di interagire con le imprese per cercare di guidarle verso un piano di sviluppo in grado di fornire i dati più robusti e interpretabili possibili, nei tempi più rapidi”. Tempi stretti ed efficienza non sono incompatibili, chiarisce infatti Rasi: “Possono essere combinati scegliendo bene i piani di sviluppo”.

“I tempi di reclutamento dei soggetti da arruolare nelle varie fasi sperimentazione e quelli necessari a valutare l’efficacia protettiva” sono solo alcuni dei tanti fattori che condizionano l’arrivo di un nuovo vaccino sul mercato. Ma non solo, precisa Rasi. Da considerare c’è anche “la velocità con cui l’epidemia si muove”, senza contare “l’eventuale comparsa di eventi avversi che può rallentare la marcia”. Un imprevisto nel “monopoli” dei test clinici che “è del tutto normale possa presentarsi”, assicura il direttore esecutivo dell’Ema, che torna sul breve stop agli studi sul candidato AstraZeneca-Oxford, imposto nelle scorse settimane da effetti collaterali seri osservati in due volontari: “Va letto come la prova che il sistema dei controlli funziona bene”.

A impattare sui tempi che servono per lanciare un vaccino in commercio ci sono poi elementi tecnici come appunto “la presentazione dei piani migliori di sviluppo”, e “soprattutto di un credibile programma di monitoraggio post-autorizzazione su efficacia e sicurezza”. Ancora: “Conta anche comunicare una data in cui si pensa di sottoporre alle agenzie regolatorie i primi dati. Finora nessuna ditta lo ha fatto”. Invece anche “prenotarsi” significa poter sperare in un esame più veloce.

“Intendiamoci – tiene a puntualizzare Rasi –, le stime fatte da diverse aziende hanno una base teorica realistica, che però per l’appunto è teorica e dipende da troppe cose. Basta ad esempio che un arruolato si ammali di influenza o sviluppi un altro disturbo, per dover magari rimandare la seconda dose. E’ sufficiente un qualsiasi fattore perturbante”. E la corsa frena giocoforza.

Rasi, che il 16 novembre lascerà il timone dell’Ema dopo due esperienze come direttore esecutivo, l’ultima iniziata nel 2015, tranquillizza riguardo ai timori che l’iter sperimentale di un vaccino anti-Covid possa subire accelerazioni improprie, dettate da pressioni politiche. Paure espresse da più parti fra la comunità scientifica internazionale, specie di fronte agli annunci di Usa, Russia e Cina.

“Concentriamoci un attimo sull’Europa”, invita l’esperto, confermando fiducia assoluta nel sistema. “Perchéda noi funziona così: l’approvazione di un vaccino viene fatta da un comitato dove ci sono 27 Stati membri più altri esperti, con due valutazioni indipendenti da parte di due squadre diverse, e un terzo osservatore per la peer review. Arrivare a mettersi d’accordo tutti vuole dire essere proprio convinti. Non è facile che questo macchinario agisca sull’onda della pressione politica di uno o dell’altro Stato, men che meno se si tratta di Stati extra Europa”.

Premesso che “non esiste un vaccino, o un farmaco o un altro presidio terapeutico completamente privo del rischio di effetti collaterali”, cosa “importante da comunicare e da far capire bene anche al grande pubblico”

, il numero uno dell’ente regolatorio Ue fa una promessa solenne: “Quando noi approveremo un vaccino per Covid, lo faremo come per ogni altro prodotto perché saremo arcisicuri che il suo beneficio sarà superiore al rischio. Che l’efficacia sarà tale da produrre un beneficio globale. L’importante non è arrivare presto, ma arrivare bene”. E sulla diffusione dei protocolli da parte di vari “big” del farmaco impegnati nella sfida vaccino commenta: “La trasparenza non è mai troppa. Anche noi, quando il processo valutativo sarà completato, pubblicheremo tutti i dati utilizzati per prendere decisioni. Siano esse positive oppure negative”.

“LA PANDEMIA NON FINIRÀ UN GIORNO DOPO IL VACCINO” – “La pandemia di Covid-19 non finirà il giorno dopo l’arrivo di un vaccino, ma con l’arrivo di un vaccino comincerà la sua fine” che dipenderà molto anche da noi e dalla responsabilità dei nostri comportamenti – dice Guido Rasi –. Quando avremo un vaccino la pandemia dovrà iniziare a preoccuparsi perché la sua fine è vicina. Sarà una guerra che durerà ancora un po’, ma se la combatteremo bene sarà più facile vincerla”.

“Quando avremo a disposizione un vaccino, l’elemento cruciale sarà una comunicazione adeguata alla popolazione – ammonisce Rasi –. A un’efficacia più bassa, in particolare, dovrà corrispondere un’azione informativa e di supporto da parte delle autorità pubbliche per dire esattamente che cosa significa quel preciso vaccino in quel dato momento. Mi spiego meglio: se l’efficacia sarà al 50%, e va benissimo. Significa che il 50% dei vaccinati inizierà a far rallentare la marcia dell’epidemia, mentre l’altro 50% no. Ma siccome non sapremo quali saranno i vaccinati che rispondono e quelli che non lo fanno, bisognerà attuare una comunicazione molto puntuale: un messaggio tipo ‘adesso facciamo il vaccino, poi faremo il richiamo, e tra 5-6 settimane inizieremo a vedere quanto diminuisce il diffondersi dell’epidemia’. Però voi comportatevi ancora con cautela, nel rispetto prudente delle misure anti-contagio”.

Ma il vaccino anti-Covid funzionerà? Cioè, il nuovo coronavirus potrà essere contrastato con quest’arma, oppure sotto il suo “fuoco” resterà invulnerabile? “E’ una domanda legittima – risponde Rasi –, che dobbiamo continuare a farci soprattutto nella fase post-lancio. Che ci sia una qualche protezione” attesa da una futura profilassi contro Sars-CoV-2 “ormai sembrerebbe abbastanza documentato, i dati sembrano buoni. Il quesito ancora senza risposta è invece quanto sarà forte la protezione conferita dal vaccino e quanto durerà”. Più semplicemente: “Se con un ottimismo personale, anche da ex immunologo, mi sento di dire che il vaccino potrà funzionare, rimane da capire quanto funzionerà e per quanto tempo”.

Ebbene, secondo il direttore esecutivo dell’Ema: “Per scoprirlo servirà un programma di monitoraggio che dovrà necessariamente essere europeo. Sarà bene che i media tengano alta l’attenzione sul piano che la Commissione europea sta già elaborando. Serve un programma di monitoraggio post-lancio su efficacia e sicurezza che abbia una forte regia Ue. Un piano simile ci potrà dirà quanto la campagna vaccinale dovrà andare avanti e quando veloce sarà la scomparsa del virus”. E quindi l’estinzione della pandemia.

“TEST SU 160 FARMACI, PROMESSA ANTICORPI MONOCLONALI” – Non di solo vaccino morirà Sars-CoV-2. Se la partita su cui si concentrano i riflettori dei media è quella di un’iniezione-scudo, preventiva contro il nuovo coronavirus, per contrastarlo a contagio già avvenuto sono allo studio anche dei farmaci: “Sono circa 160 gli sviluppatori di terapie potenziali, tra riposizionamenti”, ossia medicinali già approvati con altre indicazioni, “e nuove molecole”. Tra queste spiccano “gli anticorpi monoclonali, la promessa più concreta”, secondo Rasi.

“Per capire appieno la malattia ci mancano ancora tanti elementi – spiega l’esperto, sempre nell’intervista ad Adnkronos Salute –, ma su Covid-19 iniziamo a conoscere qualcosa di più. In particolare, sappiamo che una terapia farmacologica funziona nella fase iniziale, per bloccare la replicazione virale che poi porta alla fase più avanzata. Quando subentrano complicazioni è un po’ tardi, ed è lo stesso problema del plasma convalescente”.

E sul fronte farmaci punta sul “cavallo” anticorpi monoclonali: “Con tutti i loro pregi e i loro limiti, non conferendo immunità e avendo una finestra di utilizzo abbastanza precisa, procedono bene e saranno sicuramente un’arma in più. Sui monoclonali ci sono già contatti fra gli sviluppatori e le nostre task force”. Come per il vaccino, anche per queste terapie l’Italia è in prima linea.

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