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ADI. Ricorso alla Corte Europea Diritti uomo: si deve o non si deve fare?

ADI. RICORSO ALLA CORTE EUROPEA DIRITTI UOMO: SI DEVE FARE O NON SI DEVE FARE?

Il ricorso alla Corte Europea per i diritti dell’uomo (CEDU) è completamente gratuito.

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Il modello del ricorso si scarica dal sito www.coe.int, si compila e si spedisce, nulla di più.

Eppure il sindacato Nursind chiede denari per presentare un semplice ricorso gratuito: ben 150 euro e in altre zone d’Italia anche 200 euro!!

Se però ti iscrivi a Nursind e alzi la loro rappresentatività sindacale con tutti gli onori e i vantaggi conseguenti sul piano del potere politico e contrattuale, il ricorso, magicamente, costa solo 15 euro.

In poche parole l’elevata cifra di 150 euro funziona da deterrente e, nel caso in cui non si riuscisse neppure con tale sconto a convincere gli infermieri e le ostetriche ad iscriversi, 21mila adesioni portano comunque in cassa oltre 3 milioni di euro.

Ottimo per un ricorso che l’Unione Europea ha voluto completamente gratuito.

Ma il ricorso è da fare?

In verità, dai documenti rilasciati dal sindacato Nursind ai colleghi, non si comprende assolutamente su quale deduzione di diritto si fondi la pretesa risarcitoria.

Neppure la Corte Costituzionale ha riconosciuto un risarcimento da omessa stipulazione del contratto e, sinceramente, se io fossi uno dei giudici della CEDU, mi chiederei: ma prima di venire a chiedere un risarcimento contro il governo italiano sul rifiuto di stipulare un contratto di lavoro, avesse messo in atto gli ordinari strumenti di pressione che il vostro ordinamento vi consente?

In poche parole, avete fatto sciopero?

Aldilà di queste considerazioni, Nursind non ha avuto alcun lampo di genio.

Lo Studio Saccucci Fares e partners (studio legale specializzato in diritto internazionale – www.saccuccifares.it) ha promosso un’azione collettiva dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo nell’interesse di decine di alti ufficiali delle Forze armate e dei Corpi di polizia dello Stato ad ordinamento militare per contestare gli effetti discriminatori del blocco totale di qualsiasi incremento o adeguamento retributivo nel settore del pubblico impiego non contrattualizzato, in vigore dal 2011 (per effetto del d.l. n. 78/2010) e da ultimo prorogato con legge di stabilità sino al 31 dicembre 2015.

Un’azione analoga è stata intrapresa dallo Studio anche nell’interesse di un centinaio di professori e ricercatori universitari di vari Atenei italiani, rispetto ai quali la Corte costituzionale ha ritenuto legittimo il blocco (sentenza n. 310 del 2013), discostandosi dalle conclusioni cui essa era pervenuta in relazione ai magistrati e alle categorie equiparate (cfr. sentenza n. 223 del 2012) e privando così di qualsiasi ragionevole prospettiva di successo le azioni nel frattempo intraprese dinanzi alle giurisdizioni interne.

Lo Studio legale censura dinanzi alla Corte di Strasburgo la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 CEDU (Convenzione EDU), che tutela il diritto al pacifico godimento dei beni, e dell’art. 14 CEDU, che sancisce il divieto di discriminazione.

Il blocco di ogni scatto, adeguamento o incremento retributivo, disposto per gli anni 2011-2013 dall’art. 9, cc. 1 e 21, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, e successivamente prorogato per il 2014 dal D.P.R. 4 settembre 2013, n. 122, e per il 2015 dalla l. 23 dicembre 2014, n. 190, costituisce, secondo la tesi dello Studio legale e non dell’A.A.D.I., una misura di ingerenza nel diritto dei ricorrenti alla percezione del trattamento economico loro attribuito da specifiche disposizioni di legge (trattamento che, pertanto, essi avevano ed hanno la “legittima aspettativa” di conseguire e mantenere nel tempo), la quale difetta di proporzionalità rispetto allo scopo perseguito – la riduzione della spesa pubblica in periodo di crisi – anche alla luce della proroga di un ulteriore anno disposta dal citato D.P.R. n. 122/2013.

Tale misure ha posto a carico dei pubblici dipendenti un “onere eccessivo” che ha alterato il “giusto equilibrio” tra esigenze di interesse pubblico e tutela dei diritti fondamentali individuali, oltre ad aver dato luogo ad una disparità di trattamento priva di qualsiasi giustificazione oggettiva e ragionevole tra categorie di lavoratori che versano in una condizione sostanzialmente analoga.

Almeno lo Studio Saccucci e Fares ci permette di capire quale richiesta viene formulata ma ai colleghi che firmano i documenti rilasciati da Nursind, nulla è dato capire.

Dal sito www.ricorsocgs.it, si legge: “Tale azione è preordinata non solo a tutelare il diritto e l’interesse dei lavoratori al ripristino della dinamica delle relazioni sindacali ma anche ad ottenere il risarcimento del danno da loro patito a causa del blocco della contrattazione collettiva.
Danno che, considerato sia il tasso di inflazione riscontrato nel periodo di sospensione del diritto di contrattazione, che l’indice dei prezzi al consumo armonizzato (IPCA), può essere stimato in diverse migliaia di euro pro capite”.

Messa così è veramente appetibile!

Sorge però un’altra domanda:

…ma non basterebbe il ricorso pilota di una sola persona per far applicare l’obbligo di stipulare il contratto collettivo a beneficio di tutti, evitando così di far spendere milioni di euro ai nostri colleghi infermieri già vessati da stipendi ridicoli?

Oppure, non basterebbe attendere la sentenza CEDU della polizia di stato e poi applicarla alla CEDU anche per gli infermieri.?

Certo, la risposta è si!

Ed allora perché questo enorme spreco di risorse, di tempo e di denaro?

Semplice, per fare iscritti a beneficio di Nursind.

Per la causa sul buono pasto agli infermieri, il collega Di Fresco fece un ricorso pilota che vinse. Ora molti colleghi stanno proponendo lo stesso ricorso e stanno vincendo.

Ultimamente sei infermieri dello stesso ospedale del collega Di Fresco hanno vinto 12mila euro per uno a titolo di buoni pasto.

Un’associazione sindacale seria, propone un ricorso pilota su una materia incerta, non fa spendere soldi su soldi a migliaia di infermieri e non vincola la volontà di chi aderisce al sindacato per due anni.

Il vincolo di essere iscritti al sindacato Nursind per due anni è incostituzionale, si carpisce e si sequestra la volontà di un lavoratore che è invece libero di cancellarsi dal sindacato quando vuole.

Il paradosso che si è creato sta nell’ineludibile fatto che gli iscritti Nursind dovrebbero fare ricorso alla CEDU contro Nursind per essere stati vincolati all’adesione sindacale per un tempo determinato, quando la Convenzione EDU lascia libera volontà di aderire o meno al sindacato per tutto il tempo che si vuole, senza coercizioni alcune.

Non si deve dimenticare che l’eventuale ricorso alla CEDU richiede, in primis, la legittimazione processuale attiva cioè la capacità di possedere un interesse concreto ed attuale ovvero legittimamente, dinanzi la Grande Camera della Corte.

Sono legittimati, a prescindere dalla efficace argomentazione logico-giuridica sottesa la pretesa di diritto, esclusivamente coloro che sono state parti nel processo precedente celebratosi negativamente nell’ordinamento giuridico nazionale di un paese membro.

Non vi è dubbio che l’Italia sia un paese membro dell’Unione Europea, ma tutti questi infermieri che hanno pagato e firmato il ricorso, sono stati parte nella causa relativa alla Corte Costituzionale?

NO

Ed allora rischiano di essere dichiarati inammissibili per difetto di legittimazione processuale.

Non solo, La federazione Intesa della Funzione Pubblica, risponde così ai ricorsi Nursind:

In conclusione, il ricorso è da fare?

NO!

Avvocatura Diritto Infermieristico

Redazione Nurse Times

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