Vademecum sul trattamento e prevenzione delle lesioni da pressione

 

A cura della dott.ssa Altomare Locantore e dott.ssa Nicoletta Sgarra

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La lesione da pressione è una lesione localizzata alla cute e/o agli strati sottostanti, generalmente in corrispondenza di una prominenza ossea, quale risultato di pressione, o in pressione in combinazione con forze di taglio.

Le lesioni da pressione si classificano in quattro stadi:

STADIO 1: Eritema della cute integra non reversibile alla digito compressione.

STADIO 2: Ferita a spessore parziale che coinvolge l’ epidermide e/o il derma; la lesione è superficiale e clinicamente si presenta come una abrasione, vescicola o cratere poco profondo.

STADIO 3: Ferita a tutto spessore che implica danno o necrosi del tessuto sottocutaneo che può estendersi fino alla fascia muscolare senza attraversarla; la lesione si presenta clinicamente come una profonda cavità che può presentare dei tratti sottominati.

STADIO 4: Ferita a tutto spessore con estesa distruzione dei tessuti, necrosi o danno ai muscoli, ossa o strutture di supporto (es. tendini, capsule articolari, piani ossei, ecc.).

I fattori di rischio che concorrono alla formazione di una lesione da pressione vengono suddivisi in tre tipologie:

– fattori locali;

– fattori generali;

– fattori ambientali.

Tra i fattori di rischio locali:

  1. PRESSIONE nonché la forza esercitata perpendicolarmente sui tessuti compressi tra le prominenze ossee ed il piano di appoggio del corpo (materasso,sedia, apparecchio gessato, ecc.). Ogni forza di compressione esercitata localmente che risulti superiore a quella di quel distretto arteriolare, determina una condizione di ischemia relativa che, se protratta per almeno due ore, provoca danni tissutali locali irreversibili. Qualora la pressione esterna esercitata sui tessuti superi i 32 mmHg si producono fenomeni di ischemia che generano ipossia tissutale, acidosi, emorragia interstiziale, accumulo di cataboliti tossici e necrosi cellulare.
  2. FORZA DI STIRAMENTO ossia la forza esercitata parallelamente al piano di appoggio, determinata dallo slittamento dei segmenti corporei da una posizione ad un’altra se non sorretti adeguatamente.
  3. ATTRITO,FRIZIONE O SFREGAMENTO cioè la forza esercitata tra due superfici a contatto che si muovono l’una contro l’altra (lenzuolo o biancheria e superficie corporea). Esempio quando la persona, in modo autonomo, scivola sul letto o sulla sedia, o quando si sposta sul letto spingendosi con gomiti e talloni.
  1. MACERAZIONE: fenomeno provocato dalla permanenza di liquidi biologici sulla cute che generalmente si verifica a seguito dell’incontinenza urinaria e/o fecale, ma può essere favorito anche da sudorazione profusa. Tali sostanze risultano molto aggressive,ed inoltre modificano il pH cutaneo rendendo la cute vulnerabile agli insulti meccanici, fisici e biologici.

Tra i fattori di rischio generali:

  1. ETA’ AVANZATA in quanto l’invecchiamento determina modificazioni delle caratteristiche cutanee quali diminuzione: della produzione di sebo e sudore con facilità alla secchezza, dell’elasticità cutanea, del pannicolo sottocutaneo, della massa muscolare, della percezione sensoriale e dei riflessi nocicettivi, cambiamenti cardiovascolari che causano una riduzione della perfusione tissutale e la diminuzione della risposta immunitaria.
  2. RIDUZIONE DELLA MOBILITA’ dovuta a cause neurologiche sensoriali e motorie o cause non neurologiche come sedazione, presenza di apparecchi gessati, interventi chirurgici, malattie neoplastiche.
  3. ALTERAZIONE DISTRETTUALI DEL CIRCOLO ossia qualsiasi situazione che riduca la circolazione ed il nutrimento

della cute e del tessuto sottocutaneo (es. arteriopatie, alterazione della perfusione tissutale).

  1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE: malnutrizione, iponutrizione,squilibri del bilancio proteico,ipoalbuminemia, disidratazione, obesità, squilibri vitaminici e di sali minerali.
  2. PATOLOGIE come diabete, anemia, obesità, insufficienza cardio-respiratoria e insufficienza renale, cachessia.
  3. STATI INFETTIVI

Per quel che riguarda i fattori ambientali troviamo tra i fattori di rischio un tasso di umidità inferiore al 40%, temperatura inferiore ai 18°C che provoca ipotermia circolatoria tissutale, surriscaldamento ambientale che può portare a sudorazione profusa e conseguente disidratazione.

Come primo passo per una buona gestione di un paziente le cui caratteristiche rientrano nei fattori sopra citati abbiamo la prevenzione delle lesioni da pressione. La prevenzione prevede alcune raccomandazioni tra cui :

  1. valutazione del rischio: per valutare in modo oggettivo il rischio di insorgenza di lesioni da pressione vengono utilizzate Scale o Indici di valutazione validati, quali la Scala di Braden o la Scala di Norton ed importante è il giudizio clinico dei professionisti. La valutazione del rischio deve essere effettuata ad intervalli regolari.
  2. valutazione e cura della cute tramite l’ispezione della cute che fornisce le informazioni essenziali per la pianificazione di interventi atti a ridurre il rischio di lesioni da pressione e per la verifica dei risultati ottenuti dagli interventi stessi.

Per la cura della cute risulta importante la detersione della stessa che deve avvenire con acqua leggermente calda e un detergente a pH neutro o leggermente acido che non alteri le barriere naturali della cute. Nei soggetti con febbre con  conseguente sudorazione profusa, incontinenza urinaria e/o fecale è indispensabile il frequente cambio della biancheria personale e del letto.

E’da evitare la pratica di massaggi e frizioni finalizzato alla stimolazione dell’afflusso sanguigno e linfatico in quanto evidenze scientifiche  mettono in risalto un traumatismo tissutale soprattutto in corrispondenza di salienze ossee ed in presenza di cute arrossata. Infine per prevenire i danni provocati dalle forze di frizione e taglio è consigliata l’effettuazione dei cambi di postura del soggetto allettato, con due operatori, in modo da sollevarlo e non trascinarlo sul letto, avvalendosi anche di ausili minori. La posizione seduta o semi-seduta prolungata è da evitare, poiché è quella che esercita in zona sacrale e/o ischiatica la maggiore compressione.

  1. valutazione del rischio/stato nutrizionale: tra i numerosi fattori che concorrono all’insorgenza delle lesioni da pressione, lo stato nutrizionale riveste spesso un ruolo determinante. Uno stato di malnutrizione calorica e/o proteica, può determinare l’insorgenza della lesione da pressione per riduzione della proliferazione dei fibroblasti, dell’angiogenesi e della sintesi del collagene, dei leucociti e della vitamina C, dei livelli di albumina serica e della conta linfocitaria. Il calo ponderale conseguente ad inadeguato apporto nutrizionale, determina la riduzione del tessuto sottocutaneo con esposizione delle prominenze ossee. Dunque va mantenuto un bilancio azotato positivo con dieta ad alto contenuto di proteine, aggiunta di integratori proteici, mantenere alti i livelli di emoglobina per il trasporto dell’ossigeno con preparati di ferro, acido ascorbico e vitamina C per la vitalità e guarigione dei tessuti ed infine una buona idratazione.
  2. mobilizzazione e riposizionamento del paziente: il movimento è considerato la prima difesa dell’organismo contro i danni da compressione. Il soggetto a rischio va mobilizzato in modo programmato per alternare le aree corporee sottoposte a compressione ed evitare l’ischemia e la conseguente ipossia.

Le indicazioni di carattere generale consigliano di garantire un intervallo di tempo tra una mobilizzazione e l’altra di circa 2 ore, poiché si è dimostrato che è questo l’intervallo di tempo medio necessario perché si instauri sofferenza cutanea con danni al microcircolo. Non è tuttavia possibile definire quale sia l’intervallo ottimale né se gli stessi intervalli siano estensibili a tutti i pazienti, per le diverse caratteristiche locali e generali del singolo soggetto.

L’assistenza ottiene migliori risultati nei casi di utenti che sono sottoposti ad intervento riabilitativo, in quanto questo migliora i livelli di autonomia, quindi le possibilità di aggiustamento posturale a letto e in carrozzina (possibilità di attuare periodici sollevamenti del tronco sulle braccia, basculare il bacino in modo alternato sul lato destro e sinistro, a flettere anteriormente il tronco per scaricare la pressione sulle tuberosità ischiatiche), le capacità di trasferimento con la coordinazione dei movimenti del tronco e degli arti.

Gli interventi assistenziali relativi alla mobilizzazione della persona devono essere pianificati, personalizzati, scritti e resi facilmente disponibili a tutti i membri dell’équipe. Si dovrebbero inoltre, documentare i risultati degli interventi e delle cure prestate. Per far mantenere delle corrette posture nelle persone allettate si ricorre all’aiuto di cuscini di supporto, ad esempio, per evitare il problema dei talloni dovrà essere garantita la “sospensione” degli stessi attraverso l’uso di cuscini sotto la lunghezza dell’arto inferiore (durante il posizionamento è necessario prestare attenzione a non posizionare l’articolazione del ginocchio in iperestensione).

Le zone maggiormente a rischio in base alla posizione assunta sono:

  1. utilizzo delle superfici di supporto – antidecubito.

Un presidio, per essere definito efficace deve garantire: la riduzione della pressione del corpo sul piano di appoggio, la riduzione delle forze di taglio e frizione, la dispersione di calore e di umidità, il mantenimento di una postura corretta. Tra questi presidi abbiamo sovramaterasso: superficie di supporto che viene posizionato sopra il materasso standard, il materasso standard e la rete del letto su cui poggia il sovra materasso devono garantire un sostegno tale da consentire in tutte le posture l’allineamento corporeo; materasso: superficie che sostituisce il materasso standard; letto antidecubito: sostituisce il letto ospedaliero del paziente.

Inoltre, la superficie del presidio antidecubito si classifica in:

superficie statica- “reattiva”: superfici di supporto alimentate/non alimentate, con la possibilità di modificare le proprietà di distribuzione solo in risposta ad un carico applicato. Ritroviamo quindi in questa categoria superfici in schiuma, in fibra cava, in gel o altri materiali, superfici ad aria. La variabilità della loro consistenza permette di ridurre la pressione di contatto attraverso la distribuzione del carico su una superficie più ampia;

Superficie dinamica o “attiva”: superficie alimentata con la capacità di modificare le proprietà di distribuzione del carico, con o senza carico applicato. Tale categoria si identifica con le superfici a pressione alternata: la riduzione delle pressioni di contatto sono assicurate per circa il 50-60% del ciclo di funzionamento, ed alterna una fase di compressione e una di decompressione.

La scelta dell’ausilio si basa su una valutazione complessiva delle persona.

Nel momento in cui abbiamo una lesione da pressione innanzitutto prima di capire il trattamento da attuare dobbiamo classificarla. La classificazione puo’ essere attuata mediante la valutazione costante da parte dell’infermiere, attraverso scale validate come la scala di Braden e Norton, oppure la scala di Push che tiene in considerazione la lunghezza e la larghezza della piaga, la quantità e il tipo di essudato.

Scala Push

L’obiettivo principale della cura della lesione da pressione è quello di favorire le condizioni locali che permettono lo sviluppo dei processi di riparazione tissutale quali, la granulazione e la riepitelizzazione, ed evitare le condizioni che la rallentano come le variazione di umidità, pH e temperatura.

Per il trattamento di una lesione non esiste una metodica standard  poichè la lesione è un processo dinamico e le medicazioni devono adattarsi ad esso. La medicazione ideale dovrebbe proteggere la ferita, essere biocompatibile e fornire l’idratazione necessaria. Qualsiasi trattamento non può essere sostitutivo di una corretta mobilizzazione e della cura della persona sotto l’aspetto igienico e nutrizionale.

Una medicazione per poter essere ritenuta efficace deve:

  • mantenere un microambiente umido e la cute circostante asciutta;
  • consentire lo scambio gassoso;
  • proteggere dalla contaminazione batterica e dai danni meccanici;
  • evitare traumatismi alla rimozione;
  • garantire le condizioni ottimali di temperatura;
  • permettere e favorire la rimozione di essudati e tessuti necrotici;
  • essere biocompatibile e maneggevole;
  • avere un costo di gestione contenuto.

Per poter effettuare correttamente una medicazione occorrerà:

  • utilizzare guanti monouso per limitare la contaminazione batterica;
  • evitare di lasciare esposta a lungo la lesione all’aria per diminuire la dispersione di calore e l’esposizione ad agenti infettivi;
  • mantenere la temperatura ottimale di 37° C;
  • mantenere l’ambiente umido ad eccezione delle lesioni infette;
  • scegliere la medicazione più idonea sulla base delle caratteristiche della lesione: granuleggiante, necrotica, secernente, secca, contaminata, infetta;
  • non utilizzare la stessa medicazione durante tutta la durata del trattamento della lesione, la medicazione va modulata in base all’evoluzione della ferita;
  • definire la frequenza della medicazione.

La cura della lesione da pressione prevede diverse fasi:

detersione della lesione finalizzata all’allontanamento dello sporco. Questo dovrà essere fatto irrigando la lesione con soluzioni di Ringer Lattato o Soluzione Fisiologica, a temperatura ambiente e con una pressione adeguata (pressione tra i 4 psi e i 15 psi), che si ottiene utilizzando una siringa da 30/35 ml con ago 19 G. La quantità di soluzione da utilizzare per l’irrigazione deve essere di 100-150 ml. Tale modalità permette di esercitare un’azione meccanica senza danneggiare il tessuto di granulazione. Tale operazione deve essere effettuata ad ogni cambio di medicazione, prima e dopo l’eventuale applicazione di antisettici, enzimi proteolitici e antibiotici, nonché precedere e seguire gli interventi di rimozione dei tessuti non vitali.

– disinfezione della lesione da pressione: sulla cute integra è normalmente presente la flora batterica denominata “flora residente”. L’insorgenza di una lesione modifica radicalmente le condizioni locali, compresa la stessa flora batterica che può variare in base a diversi fattori tra cui la sede della lesione; inizialmente essa è rappresentata in maggioranza da batteri Gram negativi, mentre nella fase rigenerativa dell’epidermide nuovamente da Gram positivi. La colonizzazione batterica della lesione è quindi un evento estremamente frequente, che non compromette tuttavia la riparazione tissutale. L’impiego di antisettici è controverso poiché essi, abbinando all’azione antibatterica un effetto lesivo nei confronti di qualsiasi cellula, anche sana, possono danneggiare le cellule deputate alla riproduzione tissutale. Possono inoltre causare reazioni allergiche e/o irritazione locale. L’uso di antisettici non deve essere quindi routinario ma riservato eventualmente alle lesioni chiaramente infette o in presenza di secrezioni necrotiche (stadio III e IV) e nelle fasi post-escarectomia. È opportuno procedere e seguire l’applicazione con un lavaggio con Soluzione Fisiologica o Ringer Lattato. La scelta dell’antisettico deve orientarsi verso quelli meno dannosi. Per i prodotti per la disinfezione è consigliata l’utilizzo di clorexidina gluconato in soluzione acquosa allo 0,05%, dotata di una buona attività antisettica, un’ottima tollerabilità e bassa citotossicità. Antisettici il cui utilizzo deve essere limitato su casi particolari e per un breve periodo sono acqua ossigenata in quanto distrugge le cellule in fase di riepitelizzazione fino al 50% e iodio povidone per la possibile attività citotossica sui fibroblasti, per la comparsa di reazioni di ipersensibilità e per il rischio di scatenare tireotossicosi.

– Il debridement o sbrigliamento è una tecnica che permette di rimuovere il tessuto devitalizzato per ottenere un fondo di lesione granuleggiante che guarirà più facilmente. Questa procedura promuove la riparazione della perdita di sostanza favorendo l’angiogenesi, riduce la carica batterica, contrasta la proliferazione batterica che rallenta o impedisce la guarigione della ferita, favorisce l’accurata valutazione della lesione (dimensioni, profondità, tessuto presente, presenza di tratti sottominati).

Esistono diverse metodiche per poter attuare lo sbrigliamento:

Debridement chirurgico che avviene mediante la rimozione di tessuto devitalizzato e detriti per mezzo di strumenti chirurgici taglienti come bisturi, curette, forbici, etc. Fanno eccezione le escare secche dei talloni che non vanno rimosse; solo in presenza di edema, eritema o segni d’infezione si deve procedere alla toilette chirurgica. La rimozione chirurgica deve essere eseguita con tecnica asettica ed in modo tale da non traumatizzare il fondo della lesione e ledere vasi sanguigni.

Debridement enzimatico consiste nella rimozione del tessuto necrotico mediante applicazione topica di sostanze eubiotiche (sostanze chimiche prodotte da organismi viventi) cioè gli enzimi proteolitici. Gli enzimi proteolitici agiscono rimuovendo i frammenti necrotici dalle lesioni per digestione enzimatica dei ponti di collagene denaturato. Sono attivi in ambiente umido e vengono inattivati da acqua ossigenata ed antisettici. Il loro tempo di azione varia dalle 8 alle 24 ore a seconda del principio attivo impiegato. Sono indicati su lesioni umide, o opportunamente inumidite, su aree necrotiche o su accumuli di fibrina e nelle fasi successive all’intervento di escarectomia. L’applicazione del prodotto, in strato sottile, va rinnovata dopo lavaggio con soluzione di Ringer Lattato o Soluzione Fisiologica, 1 o 2 volte al giorno, conformemente al prodotto impiegato. Per mantenere in situ il prodotto è necessaria una medicazione secondaria. L’azione degli enzimi proteolitici non discrimina il tessuto sano da quello necrotico, si rende pertanto necessaria la loro applicazione esclusivamente sul tessuto necrotico evitando il contatto con il tessuto sano.

– Debridement autolitico avviene mediante la rimozione naturale dei detriti tessutali per azione di enzimi endogeni alla lesione stessa. E’ un metodo selettivo e atraumatico, poiché agisce esclusivamente sui tessuti necrotici sfruttando l’attività autolitica degli enzimi normalmente presenti nei fluidi della lesione e l’eliminazione dei detriti e dei tessuti morti ad opera delle cellule fagiche.

Per tale scopo vengono utilizzati in modo particolare gli idrogeli o gli idrocolloidi, o comunque medicazioni semiocclusive che garantiscano un ambiente umido controllato che favorisce questo tipo di sbrigliamento.

Gli idrogeli sono indicati per il trattamento di lesioni coperte da fibrina e tessuto necrotico giallo (slough) e per la reidratazione delle escare secche. La loro principale funzione è di idratare i tessuti necrotici favorendone l’autolisi, l’azione di debridement è riconoscibile dalla produzione di odore intenso e sgradevole. Il tempo di impiego varia da 1 a 3 giorni. La capacità assorbente è limitata per cui vanno usati su lesioni secche o lievemente essudanti.

Mentre per gli idrocolloidi esistono gli idrocolloidi in pasta e polvere che hanno una modica proprietà di assorbire acqua in modo lento e controllato, sono indicati elettivamente per il riempimento di lesioni cavitarie profonde. A contatto con l’essudato, il gel che si forma mantiene l’ambiente umido favorendo il processo di riparazione e lo sbrigliamento autolitico. Vengono utilizzati in associazione ad una medicazione secondaria, quando l’idrocolloide comincia a gelificare è percepibile un caratteristico odore sgradevole. Il tempo massimo di permanenza in sede può arrivare fino a 7 giorni. Inoltre esistono le placche di idrocolloidi  cioè miscele di polimeri naturali o sintetici, in granuli sospesi in una matrice adesiva che hanno la proprietà di assorbire acqua in modo lento e controllato per cui sono indicati elettivamente in lesioni asciutte o moderatamente essudanti. Questi prodotti sono classificati come medicazioni occlusive, favoriscono il mantenimento di un microambiente umido, non permettono il passaggio di ossigeno e favoriscono lo sbrigliamento autolitico. Aderiscono bene alla cute perilesionale sana e sono in grado di assorbire l’essudato in minima quantità, per questo motivo se ne sconsiglia l’utilizzo su lesioni iperessudanti in quanto potrebbero causare macerazione dei bordi e della cute perilesionale. Quando la medicazione si idrata, avviene una trasformazione fisica chiamata “inversione di fase”, con formazione di un gel che non aderisce alla cute lesa, mantiene l’ambiente umido, promuove l’autolisi, l’angiogenesi, la granulazione e favorisce quindi il processo di riparazione tissutale. Durante l’inversione di fase è caratteristica la produzione di odore sgradevole che, in assenza di altri segni, non deve essere scambiato per un peggioramento della lesione; la variazione di colore del prodotto può rappresentare l’indicazione al cambio di medicazione. Il tempo massimo di permanenza in sede, a seconda della quantità di essudato presente può arrivare fino a 7 giorni;

– Debridement meccanico la cui rimozione dei detriti dal letto della lesione avviene con mezzi fisici come garze bagnate (medicazioni wet-to-dry), irrigazione della ferita, tecniche whirlpool, laser, ultrasuoni.

Altri prodotti per le medicazioni sono FILM IN POLIURETANO SEMIPERMEABILI nonchè medicazioni semi-occlusive, mantengono un microambiente umido e permettono il passaggio di ossigeno, ma non di liquidi e batteri. I film semipermeabili sono pellicole normalmente trasparenti, in poliuretano, ricoperte da un sottile strato adesivo acrilico, permeabili ai gas. Non hanno nessuna capacità assorbente. Possono essere impiegati come medicazione primaria nelle lesioni di 1° stadio e nella prevenzione dei danni da sfregamento o da macerazione per esposizione prolungata all’umidità, o ancora come medicazione secondaria o per fissarne un’altra. I film trasparenti permettono l’ispezione della ferita senza dover togliere la medicazione. La medicazione, può rimanere in sede fino a 7 giorni. La rimozione della medicazione deve avvenire utilizzando la tecnica stretch per evitare lesioni da stripping.

SCHIUME IN POLIURETANO: le schiume in poliuretano sono costituite da materiali idrocellulari con una elevata capacità di assorbimento; vengono utilizzate per lesioni piane o cavitarie con essudato medio/abbondante, mantengono un ambiente umido e favoriscono lo sviluppo del tessuto cicatriziale. La loro struttura, non deve consentire il rilascio dell’essudato assorbito nemmeno sotto compressione. Le schiume, sono rivestite da uno strato morbido e perforato che non aderisce alla lesione, sono disponibili in forma di placche adesive e non adesive e di tamponi circolari e tubolari. Sono disponibili schiume in associazione con: argento, carbone attivo, idrocolloide e assorbenti in fibra. La sostituzione della medicazione, previa detersione, deve avvenire a saturazione (da 1 a 7 giorni in base alla quantità di essudato). I tamponi richiedono una medicazione secondaria di fissaggio (ad es. pellicole semipermeabili, solo ai bordi).

Tra le medicazioni con un elevato grado di assorbenza ci sono gli ALGINATI, medicazioni a base di sali di calcio o calcio-sodio dell’acido alginico, un polisaccaride estratto dalle alghe marine, disponibili in forma di medicazioni piatte, nastri o tamponi; prima della loro applicazione è necessaria una buona detersione della lesione. Gli ioni calcio si scambiano con gli ioni sodio presenti nell’essudato formando un gel che impedisce l’adesione alla ferita, ne prende la forma e copre la lesione mantenendo un ambiente umido favorendo lo sbrigliamento autolitico. Gli ioni calcio, inoltre, attivano il fenomeno della coagulazione esercitando quindi una valida azione emostatica. Sono controindicati nelle lesioni scarsamente essudanti in quanto possono causare disidratazione della lesione e formazione di una spessa crosta la cui rimozione risulta molto complessa. La medicazione va sostituita una volta satura, generalmente ogni 24-72 ore previa detersione. Gli alginati non sono autoadesivi per cui richiedono una medicazione secondaria di fissaggio. Gli alginati in tampone sono adatti al riempimento di cavità.

Per le medicazioni secondarie per il fissaggio vengono utilizzate le tradizionali GARZE che  non andrebbero applicate direttamente sulla lesione ma utilizzate come medicazioni secondarie, in quanto richiedono frequenti cambi ed inoltre, aderendo alla lesione, aumentano il rischio di asportazione del tessuto di granulazione alla rimozione.

MEDICAZIONI ATTIVE CONTENENTI COLLAGENE costituite da una matrice di cellulosa ossidata e collagene, favorente la formazione ed organizzazione di nuove fibre di collagene modulando i fattori di crescita. Sono medicazioni indicate nel trattamento di lesioni superficiali e profonde ben deterse, umide e granuleggianti con ritardo di cicatrizzazione. A contatto con l’essudato la medicazione gelifica favorendo il mantenimento di un ambiente umido e viene riassorbita nell’arco di 48/72 ore. Necessita di medicazione secondaria.

MEDICAZIONE A BASE DI ARGENTO, sono medicazioni con spiccata azione antibatterica per il loro contenuto di argento. Sono indicate per il trattamento di lesioni infette e necessitano di medicazioni secondarie di copertura. Sono controindicate nei pazienti con anamnesi si ipersensibilità all’argento. La permanenza varia da un minimo di 24 ore ad un massimo di 7 giorni.

MEDICAZIONI A BASE DI CLOREXIDINA, tradizionali medicazioni come garze imbevute di clorexidina acetato che viene rilasciata a contatto con l’essudato.

BENDAGGI, SOLUZIONE SPRY E POMATE contenenti argento e/o in associazione con antibiotici. Non vi sono indicazioni all’utilizzo sistematico di questi prodotti ad esclusione del trattamento delle lesioni infette.

Altomare Locantore

 

Sitografia:

www.epuap.org

www.evidencebasednursing.it

www.npuap.org

www.prontuariomedicazioni.wordpress.com

 

Redazione Nurse Times

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