Siamo certi che le centinaia di morti per Covid-19 nelle RSA non si potevano in parte evitare con un’organizzazione assistenziale diversa all’interno delle strutture? Da questo interrogativo nasce una profonda riflessione, espressa in una lettera aperta da una rappresentanza degli infermieri e condivisa da OPI Torino. Un documento nel quale gli infermieri cercano di fare il punto su cosa non abbia funzionato e sul perché molte strutture per anziani siano di fatto diventate focolai epidemici preoccupanti, con un numero di decessi esorbitante e condizioni di vita delle persone al limite dell’umano.
«Il massiccio contagio di ospiti fragili e non autosufficienti – scrivono gli infermieri – pone seri dubbi in merito all’assistenza erogata in molte RSA, che va oltre il solo corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. In alcune strutture sono anche stati avviati procedimenti giudiziari dagli organi competenti a cui spetterà di accertare eventuali responsabilità». La pandemia Coronavirus ha infatti colpito svariate strutture in modo massiccio, contagiando non solo gli anziani ma anche il personale sanitario. «In queste situazioni drammatiche – precisano gli infermieri – la vera discriminante non pare essere stata la quantità e la modalità di utilizzo dei DPI quanto l’irrisoria presenza – a fronte delle esigenze – di personale infermieristico. Presenza limitata dovuta non a ragioni di malattia ma strutturali, in ossequio a criteri desueti, deliberati ormai da molti anni con provvedimenti normativi regionali».
A differenza di molti Paesi esteri, dove le residenze per anziani vengono prevalentemente gestite da infermieri e prevedono una congrua presenza di personale infermieristico accanto ad altro personale, in Italia, e ovviamente anche in Piemonte, troviamo molte realtà in cui l’assistenza è garantita prevalentemente da personale di supporto perché gli infermieri presenti sono in numero assai esiguo rispetto alle esigenze e operano con orari limitati a poche ore al giorno. «A loro non è attribuito alcun ruolo di responsabilità sui processi assistenziali e all’assistenza erogata ma viene richiesto tendenzialmente la mera somministrazione di terapie farmacologiche che ne svilisce la professionalità. Ciò ha determinato nel tempo una fragilità strutturale del sistema RSA tale da renderle facile terreno di coltura per il degrado assistenziale, esploso, ovviamente, con la pandemia».
«Ora ci chiediamo – scrivono gli infermieri – se non sia opportuno tornare a gestire nelle RSA, a pieno titolo, ciò che più intimamente ci appartiene: l’assistenza infermieristica di cui siamo, per norma, responsabili e garanti. Questo momento, in cui in Piemonte è stata costituita una task force regionale per progettare la fase 2 post pandemica, rappresenta l’occasione per rivedere in profondità e in chiave infermieristica le ormai inadeguate modalità di gestione e dell’assistenza nelle RSA. Dobbiamo puntare all’attribuzione agli infermieri del governo e della responsabilità dei processi assistenziali e alla revisione del sistema di calcolo del fabbisogno del personale infermieristico».
«Gli infermieri – si legge in conclusione della lettera – sono stati in prima linea su tanti fronti e sono da tutti riconosciuti come professionisti chiave per lo sviluppo di un nuovo riequilibrio tra ospedali e territorio. Lo sono, o lo dovrebbero essere, anche per quanto riguarda le RSA che non possono essere relegate in secondo piano nella riprogettazione post-Covid che si sta costruendo. L’assistenza infermieristica in mano agli infermieri vuol dire garantire la sicurezza dei cittadini e la tutela della loro salute qualità di vita».
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