I sig.ri A. De S. e M. B., in proprio e quali legali rappresentanti dei figli minori G. ed E. De S., convenivano in giudizio, con citazione del 7/9/2005, il Comune di Venezia, il Ministero della Salute, la Gestione Liquidatoria dell’ex ULS 36 e la Regione Veneto esponendo che nel 1974 A. De S., figlio della coppia allora quattordicenne, a seguito di operazione chirurgica a un ginocchio presso il reparto Ortopedia dell’Ospedale di Mestre, venne a trovarsi in pericolo di vita, i medici per scongiurare tale evento decisero di sottoporlo alla trasfusione di quattro sacche di sangue, senza aver preventivamente acquisito né il consenso del paziente né quello dei suoi genitori. Dalle suddette trasfusioni derivò il contagio da virus, manifestatosi dopo molti anni e la degenerazione di una patologia epatica evolutasi poi in cirrosi.
A tal riguardo nel 2005 il danneggiato e i congiunti del medesimo chiesero il risarcimento dei danni, facendo valere la responsabilità contrattuale della Asl e del Comune di Venezia e quella aquiliana del Ministero della Salute. Il Comune di Venezia e gli altri convenuti si costituirono in giudizio sollevando l’eccezione di prescrizione e chiedendo ed ottenendo l’ammissione di una CTU, all’esito della quale il Tribunale di Venezia rigettò la domanda e compensò le spese.
La Corte di Appello di Venezia, adita dalla parte ricorrente fu chiamata a valutare gli esiti della CTU in ordine alle conoscenze diffuse all’epoca delle trasfusioni, rilevò che nel caso di specie la CTU percipiente, ossia, una consulenza tecnica non solo rivolta ad una valutazione dei fatti ma, all’accertamento degli stessi, ponendosi la stessa come fonte oggettiva di prova in ragione delle conoscenze specialistiche richieste.
I risultati della CTU furono indirizzati alla corretta somministrazione dei flaconi di sangue a scopo terapeutico e per le conoscenze mediche del tempo e che, sempre per la limitata conoscenza medica del tempo, il contagio da HCV subito dal figlio dei ricorrenti non sarebbe stato evitabile neppure con l’ordinaria diligenza. Fu quindi ritenuto necessario l’intervento terapeutico immediato sul ragazzo, infatti la Corte di Appello ha stimato che il contagio non fosse in alcun modo evitabile e che lo stesso costituisse un male minore rispetto al pericolo di morte.
Sulla questione della violazione del consenso informato, il giudice territoriale ha ritenuto che nessuno, né il paziente e né i parenti una volta informati dei rischi avrebbero negato il proprio consenso.
Avverso la sentenza della corte territoriale ricorrono per Cassazione i genitori del ragazzo, lamentando:
Per tali motivi il ricorso va rigettato e per le stesse ragioni vanno compensate le spese del presente giudizio.
Dott. Carlo Pisaniello
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