Categorie: Normative

Tabella applicativa del repechage

…a cura del prof. Mauro Di Fresco

 

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Nell’applicazione del repechage (VEDI) il datore di lavoro deve rispettare tassativamente le seguenti fasi, dalla 1 alla 4 prima di procedere alla fase 5 del licenziamento. Tali fasi verranno via via attuate nel caso in cui la fase precedente risulterà inapplicabile:

  1. impiegare l’infermiere in altro servizio non stressante, sedentario, mantenendo lo stesso profilo di appartenenza cioè almeno una delle mansioni di infermiere, anche se accessoria, e la retribuzione relativa in categoria D e stessa fascia (es. in ambulatorio a prendere gli appuntamenti o rispondere al telefono, ecc.);
  2. impiegare l’infermiere in profilo e mansioni diverse, mantenendo la stessa categoria D e fascia retributiva ma profilo diverso, con la stessa retribuzione di base relativa quindi senza emolumenti accessori della categoria infermieristica (es. mansioni amministrative come collaboratore amministrativo in categoria D, ma senza indennità infermieristiche);
  3. impiegare l’infermiere in profilo e mansioni diverse, applicando la stessa categoria D ma con fascia inferiore, con una retribuzione di base leggermente ridotta ma senza emolumenti accessori della categoria infermieristica (es. mansioni amministrative come collaboratore amministrativo in categoria D ma con fascia ridotta);
  4. impiegare l’infermiere in profilo e mansioni diverse, applicando la categoria C (immediatamente inferiore alla D) ma con fascia superiore che si avvicini così al precedente profilo retributivo (es. mansioni amministrative come assistente amministrativo);
  5. la normativa impedisce di collocare l’infermiere in categoria ancora inferiore, B nel caso dell’infermiere cioè come coadiutore amministrativo, quindi in caso di impossibilità delle fasi 1, 2, 3 e 4, si deve procedere al licenziamento.

Si può procedere al licenziamento evitando di attivare la tabella applicativa se l’infermiere rifiuta il repechage (il trasferimento in un’unità produttiva diversa, mansioni diverse o stipendio ridotto). – Cass. 23.08.1997 n. 7908, in Mass. giur. lav. 1997, 871; Cass. 03.07.1997 n. 5961, in Lav. prev. oggi, 1997, 2375; SS.UU. 07.08.1998 n. 7755.

L’obbligo di repechage viene assolto dal datore di lavoro mediante la proposta di utilizzazione dell’infermiere da reimpiegare individuando l’unità produttiva in cui assegnarlo e le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa (patto di repechage), essendo insindacabile nelle motivazioni tale scelta datoriale perché rientrante nei poteri organizzativi dell’imprenditore. – Cass. 06.03.2007 n. 5112; SS.UU. n. 7755/1998; Cass. n. 7908/97.

Ciò non esclude che l’unità produttiva scelta o la modalità del repechage adottato possano comprovare la pretestuosità delle misure organizzative datoriali tali da escludere il licenziamento per rifiuto da repechage (giustificato motivo oggettivo). . Cass. 28.09.2006 n. 21035.

Quindi, benché insindacabile sul fronte dei motivi imprenditoriali, è sindacabile sul fronte della legalità, correttezza, buona fede, imparzialità (travisamento, discriminazione, ingiusta locupletazione).

Interessante sul profilo esegetico la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 6 del 02 gennaio 2013 che detta alcune regole di comportamento datoriale e prestatoriale basate sui famosi canoni ermeneutici contrattuali di cui agli artt. 1175 e 1375 C.C., correttezza e buona fede: nel caso in cui l’azienda sanitaria voglia procedere al licenziamento dell’infermiere per giustificato motivo oggettivo, l’azienda deve attuare la procedura per il repechage comunicando all’infermiere, per iscritto, la possibilità di una nuova ricollocazione, optando per una delle 4 fasi sopra indicate, secondo le reali possibilità aziendali, e avvertendo l’infermiere che in caso di inerzia o rifiuto della proposta di reimpiego, si procederà al licenziamento con effetto dal (indicare la data di risoluzione del rapporto di lavoro).

Una sola carenza informativa tra queste indicate, produce in capo all’azienda una responsabilità per scorrettezza e malafede.

Infatti la sentenza riporta: “che la lavoratrice aveva impugnato il licenziamento con ampie allegazioni in fatto e deduzioni in diritto anche per non avere il datore di lavoro collocato la dipendente in altre mansioni equivalenti per le quali vi erano in azienda posti disponibili e che l’azienda si era limitata ad affermare che, al contrario, era stato dimostrato che vi era stata una sensibile contrazione dell’organico, che non vi erano state assunzioni dopo il licenziamento e che la dipendente aveva rifiutato l’offerta di ricollocazione”.

Non si può affermare che non vi è possibilità di repechage senza dimostrarlo.

Grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare che non vi è possibilità di repechage, di aver comunicato al dipendente, tempestivamente, la necessità di dover procedere alla soppressione del posto e di aver offerto allo stesso una diversa collocazione all’interno dell’azienda, secondo il criterio dell’equivalenza delle mansioni; nel caso in cui non vi siano mansioni equivalenti in cui proficuamente reinserire il lavoratore, il datore di lavoro può offrire mansioni inferiori allo stesso che devono essere accettate dal dipendente, sempreché  il dipendente non contesti il demansionamento se dimostra che vi sono nell’azienda posti disponibili in pianta organica del suo stesso profilo.

Inoltre la risoluzione del rapporto di lavoro deve procedere tempestivamente rispetto alla comunicazione di repechage e non, come nella sentenza citata, un anno dopo.

In questo caso il repechage, a cui seguì il rifiuto della lavoratrice, si dimostrò pretestuoso perché il licenziamento fu applicato un anno dopo.

Ciò significa che l’azienda si è avvantaggiata del lavoro della dipendente per ben un anno nonostante avesse scritto che era impossibile garantire la sua posizione nell’organico e la sua retribuzione.

Il repechage oggettivo, che scaturisce da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa e può ravvisarsi nella soppressione del posto in organico e nella possibilità del repechage con altre mansioni, è legittimo a condizione che non risulti meramente strumentale a un incremento di profitto ma che sia diretto a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti.

Quest’onere ricade sul datore di lavoro – Cass. 18.04.2012, n. 6026, in Lav. nella giur., 2012, 721.

Il lavoratore, invece, dovrà prospettare, mediante prove, la possibilità di una diversa e adeguata utilizzazione, indicando specifici posti che potrebbe occupare. – Cass. n. 16979/2013; Trib. Prato 17.11.2011, in Lav. nella giur., 2012, 313; Trib. Bologna 07.07.2010, Giud. Marchesini, in Lav. Nella giur., 2010, 1053.

Ma c’è un limite: non si può criticare la congruità e l’opportunità della scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore licenziato o, per questo, reimpiegato (c.d. discrezionalità tecnica, insindacabile anche dal giudice), anche se la riorganizzazione sia attuata per una più economica gestione dell’azienda sanitaria, e senza che la necessaria verifica dell’effettività delle scelte comporti un’indagine in ordine ai margini di convenienza e di onerosità dei costi connessi alla suddetta riorganizzazione, con il solo limite del controllo della reale sussistenza delle ragioni poste dall’imprenditore a fondamento delle proprie scelte e dell’effettività e non pretestuosità del riassetto organizzativo operato. – Cass. 03.08.2011 n. 16925, in Riv. It. Dir. lav., 2012.

La dimostrazione gestoria aziendale deve interessare esclusivamente le reali possibilità di reimpiegare l’infermiere in altro modo, evitando di licenziarlo, ovvero l’onere che ricade sull’amministratore aziendale è circoscritto ai motivi che l’hanno obbligato a licenziare l’infermiere e alla impossibilità di attuare il repechage anche presso affiliate addirittura estere. – Cass. 15.07.2010 n. 16579, in Lav. nella giur., 2010, 940; contraria Cass. 07.02.1987, n. 1324 e Trib. Milano 17.11.2004.

Ovviamente nuove assunzioni successive al licenziamento dell’infermiere (anche dopo un anno) dimostrano che il datore aveva simulato le ragioni poste alla legittimità del licenziamento e, quindi, che non aveva assolto l’onere probatorio sulla necessità di non poter procedere al repechage, soprattutto se i nuovi assunti hanno svolto mansioni di categoria inferiore fino a C5 che potevano essere svolte anche dall’infermiere licenziato (sempreché l’infermiere accetti tacitamente mansioni ancora più inferiori pur di non perdere un reddito). – Cass. 26.03.2010 n. 7381, in Orient. Giur. Lav., 2010, 469.

Per esempio è stato ritenuto legittimo da Cass. 22.08.2007 n. 17887 (Pres. De Luca Est. Monaci, in Lav. nella giur., 2008, 190) il licenziamento operato nei confronti di una biologa per contrazione dell’attività di laboratorio e l’assegnazione delle mansioni di questa ad altra collega (con aggravio di lavoro rispetto a prima) in quanto l’azienda non ha proceduto a nessuna nuova assunzione.

L’azienda può riorganizzare l’attività lavorativa tra i dipendenti non licenziati (es. a seguito di ristrutturazione) ma la finalità non deve essere meramente strumentale ad un incremento di profitto, altrimenti il licenziamento operato diverrebbe illegittimo, ma diretto a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti, dimostrando l’impossibilità di utilizzare il lavoratore licenziato in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione. – Cass. 18.04.2012 n. 6026, in Lav. nella giur., 2012, 721

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