San Camillo Roma. Morire di cancro in pronto soccorso… qualche riflessione

Una lettera indirizzata al ministro della Salute Beatrice Lorenzin. È così che Patrizio Cairoli, giornalista di Askanews, ha voluto sfogare la sua frustrazione, la sua impotenza e soprattutto il suo dolore, per aver visto morire suo padre, malato terminale, all’interno di un pronto soccorso.

Dopo ben 56 lunghissime ore di agonia. Con solo un maglioncino tenuto sospeso con dello scotch a fare da divisorio per la privacy.

Possibile che in uno degli ospedali più grandi della capitale d’Italia, sia così difficile morire con dignità? Questa almeno è la denuncia di Cairoli, che ha molto colpito la Lorenzin “perché ci sono dei punti molto gravi” e che l’ha portata ad inviare subito gli ispettori nel nosocomio romano. Intanto, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti è in attesa di una “dettagliata” relazione dal direttore generale dell’ospedale e la senatrice M5S, Paola Taverna, ha annunciato che ci sarà un’interrogazione urgente per appurare cosa sia davvero accaduto nel nosocomio romano.

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Una storia triste, senza dubbio, che ci fa fare molte domande e che fa di nuovo gridare i media ad un nuovo caso di “malasanità”, con riferimento alle capacità e all’umanità del personale del San Camillo. Ma… è davvero così? Saranno le indagini del caso a fare chiarezza e ad individuare eventuali responsabilità sulla brutta vicenda, questo sì, ma… da professionista sanitario mi domando: cosa diavolo ci faceva un malato cronico, oncologico e in uno stadio terminale “parcheggiato” all’interno di un pronto soccorso che dovrebbe occuparsi solo di far fronte a situazioni d’urgenza ed emergenza?

Secondo quanto dichiarato all’ANSA dal direttore sanitario dell’ospedale Luca Casertano, il paziente non è stato trasferito in un reparto in quanto “Si manda in un posto letto, magari di terapia intensiva, una persona che ha maggiore possibilità di giovarne” piuttosto che “una di cui so, con assoluta certezza, che non potrò salvare”.

E allora cosa ci faceva lì il signor Cairoli? E la rete assistenziale territoriale? E le cure palliative? Cosa non ha funzionato nella gestione del suo fine vita? Cos’è che non vuole proprio più funzionare in questa sanità? Se ne è discusso in diversi talk show e in molte testate giornalistiche, in queste ore. E stamattina, invitato nella trasmissione radiofonica “Roma ogni giorno” di Francesco Vergovich (un “oracolo” della radiofonia, nell’etere romano) su Radio Roma Capitale, ho avuto il piacere di parlarne anche io insieme a Francesco Medici, medico proprio del pronto soccorso del San Camillo:

Sarebbe dovuto morire a casa, soffrendo il meno possibile. È deceduto in un pronto soccorso, dove a dare dignità alla sua morte c’erano la sua famiglia, un maglioncino e lo scotch”, conclude il figlio del signor Cairoli nella lettera.

Alessio Biondino

Fonte Notizia: ANSA

Fonte dibattito radiofonico: Radio Roma Capitale

Fonte immagine: Online News

Redazione Nurse Times

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