Il Direttore

Parola di infermiere: “Ciò che siete, o diventerete, dipende da voi”

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un collega che parla delle proprie esperienze, prendendo spunto da altre lettere pubblicate sul nostro sito.

Recentemente mi è capitato, girovagando fra le notizie del vostro interessantissimo sito, di imbattermi in lettere di colleghe/i alle prese con svariate difficoltà e disagi lavorativi come infermieri. Da ultimo la lettera di Marta prima e di Ilenia poi mi hanno colpito e stimolato a una riflessione in merito.

Credo sia necessario, in ogni caso, fare chiarezza e distinguere i fatti dalle opinioni e la realtà dalle aspettative per meglio comprendere cosa vogliamo e cosa possiamo fare per cambiare una realtà che non è e non sarà mai quella ideale. A questo proposito, a Marta, Ilaria e agli altri colleghi che vivono le medesime situazioni, dico di chiarire a se stessi quali siano le aspettative lavorative e la volontà di andare oltre le difficoltà e, una volta chiarito questo, di non accettare offerte al ribasso.

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Cominciamo col dire che non tutti gli ambienti di lavoro sono uguali e quindi è a priori errato fare di ogni erba un fascio, ma diciamo pure che gli ambienti li costruiscono le persone. Nella mia passata esperienza lavorativa e nella pur breve (ma intensa) esperienza come infermiere ho potuto conoscere diverse realtà lavorative, che mi hanno aiutato nella scelta del cammino professionale “nel bene e nel male”, per così dire. Non tutti ci sentiamo adeguati a certi aspetti della professione e/o alle richieste proprie o improprie che essa ci pone davanti. Infatti alcuni non lavorerebbero mai in certi reparti, mentre altri potrebbero non avere la stessa difficoltà o disagio.

Per meglio chiarire questi aspetti vi parlerò della mia esperienza recente (così approfitto per fare un bilancio personale, il che non guasta, e aggiorno i colleghi, per lo più davvero in gamba, che ho avuto la fortuna di incontrare sul mio cammino). Mi sono laureato nel 2012, a 49 anni. Sì, avete letto bene non è un errore di battitura. Per non farla lunga vi dico solo che, dopo aver fatto nella mia vita i lavori più disparati, nel 2009 (all’inizio della crisi economica planetaria), quando la ditta per cui lavoravo è fallita, sono approdato alle famigerate liste di mobilità dei metalmeccanici e ho pensato bene di investire l’assegno di mobilità per iscrivermi al corso di laurea in Infermieristica (un’idea coltivata in gioventù e lasciata nel cassetto).

Il fato volle (ora dico per fortuna) che il 2013 (primo anno post-laurea) non fosse ricco di opportunità qui nelle Marche (e poi figurarsi uno di 49 anni: nel privato chi vuoi che lo prenda?!). Motivo per il quale, nonostante sia coniugato con figli a carico, sono stato costretto a provare avvisi e concorsi in giro per l’Italia, cercando di riuscire a essere in graduatoria. Per inciso, se si partecipa sistematicamente ad avvisi e concorsi senza lasciare indietro nulla, prima o poi si entra.

Bisogna solo avere tenacia e perseveranza e, naturalmente, essere disposti ad andare lontano da casa per un periodo più o meno lungo, cosa che porta con sé aspetti di dolore, ma anche estremamente positivi. Ve lo dice uno che non era una “cima” a scuola, ve lo assicuro. Eppure questo non mi ha impedito, nonostante l’incombente terza età, di ottenere tre ruoli e uno svariato numero di contratti a tempo determinato

, ai quali per lo più ho rinunciato.

Il primo incarico al quale ho rinunciato, poco dopo aver conseguito la laurea, era una lungodegenza ad alta assistenzialità. Capii che non ero fatto per quel tipo di lavoro o non ero pronto per affrontarlo: il carico di lavoro era intenso, ma c’erano infermieri che lo facevano e anche con soddisfazione. Questo a dimostrare che non siamo tutti uguali. Il secondo incarico nel quale è maturata la mia consapevolezza professionale è stato in SPDC in provincia di Bergamo. Un ambiente molto speciale nel quale si va a fondo in se stessi e nel rapporto coi pazienti, e dove ho ritrovato tutta l’anima profonda dell’essere infermieri.

Nella successiva esperienza di Medicina in un’altra realtà regionale sono “diventato” infermiere, cioè sono stato iniziato a prendere in mano le mie competenze, ad acquisirne di nuove, e devo dire che ho imparato tanto, anche e soprattutto dalle oss. Poi il salto in rianimazione, dove si comprende a che livello di prestazioni professionali siamo chiamati in certe realtà.

Dopo delle brevissime parentesi in altre realtà, sono approdato all’Ortopedia, un po’ più vicino a casa, finalmente. In ogni caso, penso e credo che il mio “viaggio” professionale non finisca qui. Perché nella vita è necessario andare avanti e alimentare finché è possibile quella curiosità che è il fermento del nostro esistere. Inoltre, manca ancora un pochino per la pensione (ammesso che ce la diano…).

Non voglio dire che non ci siano state difficoltà di ogni genere. Ad esempio in ciò che concerne la visione del prendersi cura dell’altro, spesso in contrasto con le richieste dell’organizzazione per cui si lavora. Oppure quelle dettate da aspettative spesso esorbitanti dei pazienti e dei loro famigliari.

In ultima analisi, vorrei dire che a volte gli ideali si frantumano nell’impatto con una realtà diversa da come l’avevamo immaginata e che non accettiamo. Ma c’è sempre, a mio giudizio, una via di uscita e, soprattutto, non bisogna mai perdere di vista ciò che anima la propria coscienza personale e professionale: fare le cose giuste nel giusto modo, ovvero prendersi cura dell’altro proprio come vorresti fosse fatto per te o per un tuo caro, infischiandosene di chi opera diversamente.

Di questi e altri principi ispiratori che porto con me ringrazio i miei tutor e supervisori del corso di laurea in Infermieristica dell’UNIVPM di Fermo. Nella speranza di essere stato di aiuto e magari di conforto, vi invito a scegliere di lottare, perché ciò che siete e che diventerete dipende in larga parte da voi stessi e da quanta energia metterete nel realizzare i vostri obiettivi.

Lanfranco

 

Redazione Nurse Times

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