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Parkinson: la neurostimolazione cerebrale per migliorare la qualità della vita

Domenica 11 aprile si celebra la Giornata mondiale di questa patologia, che interessa in Italia 500mila persone. Boston Scientific ha messo a punto una procedura di Deep Brain Stimulation che comporta numerosi vantaggi per i malati.

Secondo le stime più recenti, in Italia ci sono 500mila pazienti colpiti dalla malattia di Parkinson, che si colloca come la seconda patologia neurodegenerativa più comune dopo l’Alzheimer. La patologia, progressiva e fortemente invalidante, è caratterizzata da tremori involontari, lentezza nei movimenti, rigidità degli arti, mancanza di equilibrio.

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La dimensione del problema è evidenziata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che prevede ben 12 milioni di parkinsoniani entro il 2040, con una prevalenza di uomini (1,5 volte superiore alle donne). Ma uno degli aspetti più preoccupanti riguarda l’età di esordio della malattia, che si è notevolmente abbassata, smentendo il luogo comune secondo il quale la patologia colpisce prevalentemente gli anziani. Le evidenze segnalano che la metà dei casi insorge tra i 40 e i 58 anni, il 25% tra 20 e 40 anni, mentre solo il restante 25% riguarda pazienti over 80.

Della malattia e delle sue implicazioni personali, mediche, sociali, si parlerà domenica 11 aprile, quando si celebrerà la Giornata mondiale del Parkinson, per ricordare che la cura di questa malattia è una delle grandi sfide del futuro. Non mancherà, nelle analisi degli esperti, l’impatto che il Covid-19 ha avuto e continua ad avere sui pazienti parkinsoniani, le cui condizioni sono notevolmente peggiorate sia dal punto di vista fisico che psicologico.

Va ricordato, infatti, che questi malati soffrono di problemi motori che rendono difficili semplici gesti di vita quotidiana, ma, anche di disturbi collaterali non strettamente fisici, ma ugualmente rilevanti. Relazioni interpersonali difficoltose, distanze, mancanza di attività fisica generano ansia, depressione e decadimento cognitivo. Si aggiunga che la pandemia e le difficoltà negli spostamenti hanno limitato i supporti infermieristici e le sedute di fisioterapia, rinviando o annullando molte visite di controllo. Un’emergenza che le soluzioni tecnologiche (consulenza telefonica, WhatsAPP e videochiamate, Zoom e videoincontri) hanno parzialmente alleggerito, ma che evidenziano ancora una volta la fragilità e dipendenza di questi pazienti, connotando la malattia di Parkinson come un enorme problema medico e sociale.

In termini clinici, la malattia di Parkinson (da James Parkinson, farmacista chirurgo londinese del XIX secolo che per primo ne descrisse le caratteristiche) rientra nelle patologie definite disordini del movimento. La sua insorgenza va ricondotta alla progressiva morte dei neuroni situati nella “sostanza nera”, piccola area del cervello che, attraverso la dopamina, controlla i movimenti del corpo.

La perdita di oltre il 60% di queste cellule genera la patologia, che solitamente interessa una metà del corpo e si manifesta con sintomi quali: tremori involontari (mano, piede); rigidità muscolare, che rende difficili o impossibili molti movimenti; bradicinesia, ovvero il rallentamento progressivo delle attività motorie; acinesia, cioè difficoltà ad iniziare un movimento; instabilità posturale e conseguente perdita dell’equilibrio; congelamento dell’andatura, anche noto come freezing of gait, una situazione improvvisa e transitoria (dura pochi secondi) nella quale il paziente è incapace di iniziare o proseguire qualsiasi movimento. Ai sintomi che riguardano l’area motoria se ne associano altri, spesso non identificati, quali postura curva, voce flebile, difficoltà di deglutizione, stipsi, disturbi urinari, pressione arteriosa, ecc.

A oggi la malattia di Parkinson viene considerata incurabile e affrontata con un insieme di strumenti finalizzati soprattutto a migliorare i sintomi: monitoraggio, trattamenti farmacologici, interventi chirurgici, supporti psico-sociali, esercizio fisico, dieta bilanciata aiutano a convivere con una quotidianità molto difficile.

Le terapie farmacologiche puntano a mantenere situazioni di equlibrio per lunghi periodi. Come la levodopa (L-DOPA, precursore della dopamina), terapia non sempre facilmente reperibile, ma capace di migliorare la sintomatologia parkinsoniana anche per anni. A questa si possono aggiungere gli inibitori delle monoamino ossidasi B (MAO-B), gli anticolinergici per il controllo del tremore, l’amantadina impiegata nelle forme iniziali, oppure gli enzimi deputati a degradare la levodopa e impiegati per renderla più tollerabile.

È però sul fronte della neurochirurgia funzionale che la scienza ha fatto i passi più significativi. Soprattutto con la stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation – DBS), oggi la procedura chirurgica più evoluta per ridurre i sintomi legati ai disturbi del movimento. La DBS è un intervento efficace e sicuro che prevede l’introduzione di un sottilissimo elettrodo nella zona del cervello responsabile dei tremori, collegato a un piccolo stimolatore impiantato sottocute, all’altezza della clavicola. Gli impulsi elettrici arrivano a stimolare il centro nervoso individuato come bersaglio e favoriscono la migliore trasmissione dei segnali dal cervello, riducendo drasticamente i sintomi motori.

Boston Scientific, uno dei principali operatori internazionali, ha condotto innumerevoli ricerche e studi clinici sulla neurostimolazione e ha messo a punto una procedura DBS, caratterizzata da un sistema  direzionale costituito dal neurostimolatore Vercise™Gevia™ e dal catetere che seleziona in modo accurato il bersaglio verso cui indirizzare la stimolazione. Il sistema è stato potenziato di recente con i dispositivi Stimview e Guide XT, che permettono il posizionamento degli elettrodi con altissima precisione e migliorano in modo significativo le tecniche di imaging pre e post-intervento.

I dispositivi impiantabili di Boston Scientific sono dotati di batterie tradizionali, che si esauriscono dopo circa cinque anni e devono essere sostituite, oppure di batterie ricaricabili, con previsione di durata fino a 25 anni, che possono essere ricaricate direttamente dal paziente. La ricarica, semplicissima e gradita dall’87.3% dei pazienti, viene effettuata tramite una piccola placca collocata all’altezza del generatore di impulsi e racchiusa in una fascia appoggiata sulla pelle. Superfluo sottolineare che la ricaricabilità delle batterie offre un formidabile vantaggio al paziente, che non deve affrontare interventi di sostituzione del dispositivo (in media due-quattro nel corso della vita), le complicanze associate alle sostituzioni, le possibili perdite di efficacia del dispositivo, eccetera. 

Le evidenze cliniche sulla DBS confermano miglioramenti già nei primi giorni successivi all’intervento, ma uno degli aspetti più rilevanti è la riduzione dei farmaci dopaminergici dal 59% all’80%, mentre alcuni pazienti non necessitano più di alcuna terapia farmacologica. Il miglioramento complessivo della qualità di vita si traduce in minore carico per le famiglia, ma anche in risparmi concreti per il Servizio Sanitario nazionale, grazie alla minore incidenza di re-interventi di sostituzione e possibili complicanze.

Purtroppo, nonostante l’efficacia terapeutica della stimolazione cerebrale profonda sia universalmente riconosciuta, nel nostro Paese il ricorso a questa procedura è tuttora limitato, sia per la mancanza di un efficace network tra neurologi e neurochirurghi sia per la disomogeneità delle procedure e dei sistemi di rimborso nelle diverse Regioni.

Redazione Nurse Times

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