Parkinson, da UniMI lo stimolatore cerebrale “automatico” che aumenta i benefici su rigidità e discinesia

Produce un effetto migliore su alcuni sintomi motori della malattia, valutati sistematicamente nel corso di un’intera giornata di osservazione.

La stimolazione cerebrale profonda (o DBS, da Deep Brain Stimulation), introdotta negli anni Novanta dello scorso secolo, è una metodica per il trattamento della malattia di Parkinson quando la terapia farmacologica non riesce a controllarla. La DBS prevede la stimolazione costante di una struttura profonda del cervello attraverso un elettrodo impiantato chirurgicamente e connesso a un pace-maker sotto la pelle, vicino alla clavicola.

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Da circa vent’anni, nei laboratori dell’Università degli Studi di Milano, si sta lavorando per sviluppare e mettere a punto un sistema per la stimolazione “automatica”, ovvero che si adatta momento per momento alle esigenze del paziente a seconda se dorme, è sveglio, cammina, e a seconda dell’effetto della terapia in un dato momento della giornata. La stimolazione automatica è nota anche come DBS adattativa, proprio in quanto si adatta momento per momento alle esigenze del paziente.

Uno studio appena pubblicato su Nature – NPJ Parkinson è statro condotto da un gruppo di ricercatori della Statale di Milano, coordinato da Alberto Priori, docente di Neurologia, e svolto in collaborazione con Newronika, azienda spin-off di Ateneo, ASST Santi Paolo e Carlo, Policlinico di Milano, Università di Wurzburg, Università di Toronto e Università di Grenoble. Tale studio ha inteso confrontare gli effetti della DBS adattativa con quelli della DBS convenzionale in otto pazienti affetti da malattia di Parkinson che erano liberi di muoversi in ospedale.

I risultati dimostrano che la stimolazione automatica consente il risparmio di corrente e della batteria, ma soprattutto produce un effetto migliore su alcuni sintomi motori della malattia, come rigidità e discinesie, valutati sistematicamente nel corso di un’intera giornata di osservazione.

“Questo è il primo studio che ha comparato direttamente nello stesso paziente gli effetti della metodica convenzionale con quella adattativa o automatica, da noi messa a punto per un periodo così prolungato di tempo – spiega Tommaso Bocci, ricercatore di Neurologia della Statale e primo autore dell’articolo –. I dati ricavati sono molto importanti in quanto confermano in modo ancora più solido la superiorità della metodica adattativa per la stimolazione cerebrale profonda nei pazienti affetti da malattia di Parkinson, e non solamente sulle fluttuazioni motorie, ma anche su alcuni sintomi cardine di malattia quale la rigidità muscolare”.

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