“Il potere plastico del cervello ci permette di imparare qualcosa di nuovo, acquisire informazioni e adeguarsi all’ambiente circostante e può essere “adattativo”. Quando è in grado di contrastare almeno in parte il danno iniziale subito da una struttura del cervello, come ad esempio i sintomi del Parkinson o della Sclerosi Multipla, o “maladattativo”, quando non è in grado di realizzare una compensazione adeguata – dichiara Fabrizio Esposito, ordinario di Bioingegneria dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli e coordinatore dello Spoke 2 -.
Per affrontare in maniera più efficace la complessità delle patologie che possono affliggere il cervello, occorre associare il concetto di neuroplasticità con quello di connettività. È infatti una conoscenza ormai assodata nella letteratura medico-scientifica, che la plasticità dei neuroni si manifesta sempre, direttamente o indirettamente, come una modificazione strutturale o funzionale delle connessioni che esistono tra di essi. In pratica, il cervello funziona come una orchestra e forma dei gruppi che “suonano” insieme e per “suonare” bene devono sincronizzarsi. Le funzioni cerebrali, così come le osserviamo noi dall’esterno tramite l’analisi delle azioni e dei comportamenti, non sono mai, dunque, il semplice risultato dell’attivazione di un solo neurone né tanto meno di un gruppo ben localizzato e definito di neuroni dello stesso tipo in una data area del cervello”.
In tal modo, i processi molecolari e delle membrane cellulari, il sottile strato lipidico che delimita le cellule, determinano l’attività dei neuroni, che influenzano quella dei microcircuiti, che a loro volta si associano a formare reti via via più complesse, fino all’intero cervello. Pertanto, attraverso l’analisi della connettività si potrà prevedere se e quanto il potere plastico del cervello possa avere successo o meno nel riuscire a salvare le funzionalità cerebrali a seguito di una malattia o come intervenire precocemente per curarla. Per raggiungere questo obiettivo – sottolinea D’Angelo -, è necessario un approccio scientifico “multiscala”. Che sia, cioè, in grado di collegare tra di loro i fenomeni che si verificano sui diversi piani di complessità. Tale approccio,elaborato in dettaglio nel progetto Europeo Human Brain Project e nella sua continuazione EBRAINS, è stato assunto come base per lo sviluppo delle attività dello Spoke 2.
Cioè rappresentazioni digitali multiscala dei neuroni, dei microcircuiti e delle reti neurali fino all’intero cervello, attraverso dati di risonanza magnetica che consentono di mappare le sue aree funzionali su un atlante digitale del cervello. Successivamente vengono applicati dei modelli neurali che permettono di replicare a tutti gli effetti il reale comportamento del cervello e consentono di generare onde cerebrali molto simili a quelle dell’elettroencefalogramma.
Questi avatar digitali consentono di studiare in dettaglio le funzioni cerebrali che emergono nel corso di patologie del sistema nervoso. In MNESYS sono in fase di sviluppo studi di malattie neurologiche come demenze, malattia di Parkinson, autismo e schizofrenia. Lo sviluppo più avanzato della tecnologia multiscala sono i Brain Digital Twins, le copie digitali del cervello di singoli pazienti. All’università di Pavia vengono generati i Twins attraverso l’elaborazione, mediante algoritmi matematici, di dati anagrafici, clinici, di laboratorio e diagnostici, raccolti dallo Spoke 2 e da altri Spoke di MNESYS. Ciò permette di simulare stati funzionali e parametri neurali non rilevabili attraverso la valutazione clinica e diagnostica. I Twins potranno essere di notevole aiuto per migliorare la diagnosi, predire l’evoluzione di una determinata patologia e definire l’approccio farmacologico ed interventistico più appropriato”.
Redazione Nurse Times
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