Categorie: Normative

Messaggio rivolto agli studenti di infermieristica

Ci rivolgiamo agli studenti in infermieristica affinché si oppongano fin da subito alla falsa dottrina universitaria in materia di intellettualità della professione e rispetto della dignità del lavoratore.

Il principio di nomofilachia del diritto e, quindi, della certezza, non consente che le mansioni dell’infermiere vengano determinate a seconda del contenuto didattico offerto dai corsi universitari.
Postulare, poi, la valenza giuridica dell’art. 49 del codice deontologico è solo un tentativo per giustificare decenni di inerzia e complicità.
La scala gerarchica delle fonti di diritto, dotate del potere di imporre una condotta o una regola nonché capaci di eliminare o modificare un’altra fonte è la seguente: Trattati internazionali e Diritto comunitario; Costituzione italiana; Legge costituzionale e TT.UU. (Testi Unici); Legge, D.Lgs., D.L., D.P.R. e Contratti; Regolamento esecutivo o attuativo; D.P.C.M. (Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri); D.M. (Decreto Ministeriale).

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L’infermiere trova la sua ratio professionale all’art. 2229 C.C. che ne sancisce l’intellettualità, ricorda la Suprema Corte che tutte le attività elementari non possono essere attribuite ad una professione intellettuale soprattutto se la legge prevede a tutela della sua genuinità, uno specifico reato proprio (abusivismo) perché si fonda sul conseguimento di un titolo abilitante rilasciato dallo stato.
Di notevole importanza è l’art. 2087 C.C. che impone al datore “nell’esercizio della impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. L’articolo in questione trova la sua genesi nei più importanti principi costituzionali quale la tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni (art. 35), il riconoscimento della tutela della salute (art. 32) come vincolo insuperabile che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana (art. 41, c. 2).

Tale norma ha una portata talmente ampia che non distingue la tipologia d’impresa o la qualifica del lavoratore, ma è sufficiente ravvisare il nesso causale tra infortunio e violazione della disciplina lavoristica, costituendo, così, il datore come garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro (Suprema Corte SS.UU. n. 5/1998; 4178/2006;41951/2006 e 13917/2008).
Senza andare oltre, si spera, soprattutto in questo momento storico (non per l’evoluzione professionale) per le sorti del pianeta, che riusciate a distaccarvi dal “pensiero unico” dominante che silenzia, diffama e delegittima chiunque osi pensare diversamente.

Mauro Di Fresco

Redazione Nurse Times

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