La storia di Fadumo Dayib, infermiera, torna nella sua Somalia per candidarsi alla presidenza

Due cose, apparentemente irrelevanti, nel tram tram lavorativo di questi giorni hanno attirato la mia attenzione e hanno fatto scaturire in me nuove riflessioni e vecchie certezze.

Cominciamo con queste ultime, basta scorrere le cronache di questi ultimi mesi per rendersi conto del modo in cui la stampa ci dipinge, infermieri killer, infermieri ladri, infermieri badanti e potrei ancora continuare.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso della pazienza, tuttavia, è la storia che i mezzi di stampa italiani riportano della collega finlandese di origine somala Fadumo Diyab.

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Ma facciamo un passo indietro, casualmente sul profilo del giornalista David Sassoli leggo: “Infermiera, modella, ha lasciato la Somalia trent’anni fa andando in Finlandia, quando ha imparato a scrivere aveva già 14 anni. Oggi Fadumo Dayib, due lauree, 44 anni, torna nella sua Somalia per candidarsi alla presidenza”.

Incuriosita da questo post vado alla ricerca di informazioni su questa collega e rimango colpita dalla storia personale di questa donna e dalla diversità di trattamento rispetto alla professione infermieristica, dei mezzi di stampa esteri ed italiani.

Mentre sul “The Guardian” si cita la sua laurea in infermieristica e la sua specializzazione in area critica, sull’Espresso di qualche mese fa si legge testualmente: “…dopo lauree e titoli legati alla salute pubblica, il lavoro che ha svolto fin da quando arrivò giovanissima in Finlandia”.

Ecco, esperta in gestione della salute pubblica per l’Espresso. Certo che si!

Un’infermiera di area critica con un Dottorato di ricerca altro che esperta può dirsi. Poi per fortuna ti rivolgi alla stampa estera e si ristabilisce l’ordine delle cose.

Laddove c’è il riconoscimento del prestigio sociale legato alla professione infermieristica, ecco che sui mezzi di comunicazione si indica correttamente il lavoro svolto

.

E allora mi chiedo, e qui emergono le nuove riflessioni, non sarà  forse colpa nostra se i mezzi di comunicazione in Italia ci dipingono cosi’?

Ed ecco lo specchio, non é che  rimandiamo di noi agli altri un’immagine distorta di ciò che siamo o di ciò che dovremmo o vorremmo essere?

La storia della collega Fadumo Dayib, una bellissima storia di tenacia e riscatto sociale, che hanno fatto si che la collega diventasse la prima somala a lavorare come infermiera di area critica in Finlandia, la prima a prendere un Master in una Università finlandese, la prima somala a lavorare per le Nazioni Unite, la prima a guadagnarsi l’accesso ad un Dottorato di ricerca, ci dimostra come nulla sia impossibile, compreso rompere certi stereotipi che ci riguardano.

Da rifugiata che ha conosciuto gli orrori della guerra civile, ha saputo trarre la forza per realizzare se stessa e per provare a concretizzare un sogno, quello del riscatto del suo popolo e dell’emancipazione delle donne nel suo Paese di origine candidandosi, prima donna della storia, come Presidente in Somalia.

Non so come andrà a finire, se la Fadumo riuscirà a vincere o no, é probabile che non ce la faccia in questa prima tornata di elezioni libere in Somalia dal 1967. Tuttavia come ci ricorda nel suo blog personale la Fadumo: “Non essere piccolo a causa delle persone che si rifiutano di crescere”.

Tutto questo ci dice che spetta a noi provare a cambiare l’immagine riflessa di ciò che siamo e di ciò che gli altri percepiscono di noi, giornalisti in primis.

Rosaria Palermo

www.corriere.it

www.theguardian.com

fqdayib.com

 

Rosaria Palermo

Infermiera dal 1994. Attualmente, infermiera specialista del rischio infettivo presso l'ARNAS Garibaldi di Catania. Ho una laurea magistrale e due Master, uno in Coordinamento e l'altro in Management del rischio infettivo. Faccio parte del Direttivo di ANIPIO (Società Scientifica degli Infermieri Specialisti del Rischio Infettivo) dal 2016. Penso che lo scatto nella nostra professione debba essere culturale, prima di ogni cosa. Nelson Mandela diceva che la conoscenza è l'arma più potente di cui gli esseri umani dispongano, ed è ciò che permetterà alla nostra professione di ritagliarsi gli spazi che le competono.

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