La responsabilità professionale sanitaria dopo il Coronavirus

Quando si risponde per imperizia, quando per imprudenza o negligenza? E quando ancora per colpa lieve o soltanto per colpa grave? Se si è intervenuti in un contesto complicato da una pandemia in corso o comunque nel contesto di una struttura non adeguata? E ancora…quale incidenza possono avere le incertezze o i ritardi delle istituzioni nella valutazione delle responsabilità individuali? Una nuova pubblicazione fa chiarezza sulle responsabilità da esercizio della professione sanitaria rivisitate alla luce delle esperienze e dei moniti del coronavirus.

“La responsabilità professionale sanitaria dopo il Coronavirus” (Adda Editore, qui il volume) continene riflessioni sulla situazione pandemia, con uno sguardo proiettato oltre la contingente e drammatica attualità.

“Gli uomini e le situazioni hanno un loro punto di prospettiva: alcuni bisogna guardarli da vicino per poterli giudicare correttamente, altri si giudicano bene soltanto quando se ne è lontani.”

François de La Rochefoucauld

Ed è certamente da una prospettiva diversa che il devastante vortice della pandemia da coronavirus induce ad osservare la responsabilità professionale sanitaria. È necessario riadeguare schemi e criteri di accertamento e valutazione delle condotte secondo due direttrici solo apparentemente opposte tra loro. Bisogna zoomare in maniera ancora più stringente su specificità e variabili del caso per caso, allargando subito dopo il campo visivo sul contesto della struttura e del territorio locale o globale nel quale ci si è trovati ad intervenire.

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Integrare con attenzione e buon senso ogni giudizio sugli specifici accadimenti con la costante considerazione delle situazioni e delle scelte – fatte o mancate – che concorrono a determinare le responsabilità del sistema sanitario per la sicurezza delle cure è tutt’altro che un appello all’indulgenza verso singoli individui. Individui chiamati anzi a un costante sforzo di resilienza per esercitare coraggiosamente una professione così diversa dalle altre

. Un lavoro votato alla preservazione del bene fondamentale della salute. Vi è, invece, un monito ad evitare percezioni formalmente ineccepibili, ma sbagliate nei fatti e a volte aberranti, i cui esiti incidono alla fine sulle sorti di donne e uomini in corsia, siano essi pazienti o medici e infermieri.

Strano destino quello della Legge Gelli-Bianco, la n. 24 del 2017, che – nata per dare certezze a utenti e operatori delle attività sanitarie, ma paradossalmente messa in discussione e parzialmente riscritta con straordinaria rapidità dalla Corte di Cassazione già all’indomani del suo varo.

Ci si è ritrovati, poi, a dover fare i conti con i dirompenti scenari dell’attualità e le sue ripercussioni anche sul versante dell’interpretazione e dell’applicazione delle norme in materia sanitaria, destinate a riflettersi ben oltre le contingenze di questo tempo e del coronavirus. Una sfida senza precedenti, con soluzioni non sempre realizzabili a colpi di sentenze o per decreti attuativi, per una legge ancora giovane all’anagrafe, ma per certi versi già vecchia nella realtà e nel diritto vivente.

Cristiana Toscano

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