Dal titolo, l’argomento sembra essere abbastanza distaccato dalla realtà, oppure relegato alla teoria di coordinatori e di professionisti specializzati nel settore della comunicazione
Dal titolo, l’argomento sembra essere abbastanza distaccato dalla realtà, oppure relegato alla teoria di coordinatori e di professionisti specializzati nel settore della comunicazione.
In verità, la tematica è fin troppo insita nella nostra quotidianità lavorativa: a chi non è capitato di avere un collega, nella propria U.O., con cui mostriamo poca simpatia o poca affinità? O ancora meglio… a chi non è mai capitato di avere discussioni accese con i vari membri di un equipe lavorativa? Chi non ha mai serbato rancore nei confronti di un collega per diverbi passati?
Tutto ciò appartiene, ed è sempre appartenuto, al nostro quotidiano, non solo lavorativo, ma anche sociale e privato. E ciò incide negativamente nella nostra vita in toto: soprattutto per noi infermieri, che ci ritroviamo a passare ¾ della nostra vita a contatto con pazienti (incidendo negativamente anche nella loro vita). Vi sono svariati fattori che in maniera concatenata incidono nelle nostre interazioni sociali-lavorative:
L’organizzazione sanitaria è un sistema complesso e adattativo in cui interagiscono un insieme di microculture e di elementi interdipendenti (persone, processi, attrezzature), il che comporta l’instaurarsi di reti di relazioni tra le persone o gruppi di persone, che a diverso titolo intervengono nell’organizzazione; portando con sé interessi eterogenei. E dove c’è relazione inevitabilmente c’è conflitto.
Facciamo un passo indietro… Cos’è un conflitto?
Un conflitto è un’interazione, più o meno cosciente, tra più soggetti, caratterizzata da una divergenza di scopi, tale perché i soggetti possano conseguire detti scopi simultaneamente. Ognuno delle parti avrà la tendenza a neutralizzare, o deviare verso altri scopi, o impedire l’azione altrui.
Secondo la definizione sociologica, esso può essere definito come: “una lotta per i valori, per il potere, per i mezzi economici scarsamente disponibili. Nell’ambito dello stesso, i contendenti mirano a individuare, danneggiare o eliminare i loro antagonisti”
(L. Coser).
Secondo un approccio psicologico il “conflitto” assume il significato di “stato di tensione”, ovvero quel particolare status in cui un individuo si trova quando è sottoposto alla pressione di impulsi, bisogni e motivazioni contrastanti, a causa d’una situazione creata da lui stesso o da terzi”.
Un conflitto può avere diversa genesi:
Di fondo vi sono due modalità di conflitto: APPARENTE, dovuto a problemi comunicativi; REALE, dovuto a punti di vista diversi legati al metodo o al contenuto. Abbiamo poi 3 livelli del conflitto: livello oggettivo (contenzioso sulle risorse), livello cognitivo (contenzioso sui valori), e livello affettivo (contenzioso sulle emozioni). Nell’ambito di una rapida analisi degli aspetti fondamentali necessari a gestire un conflitto, è necessario valutare in che modo si è sviluppato e manifestato il conflitto, e il contesto in cui il conflitto si è prodotto, in modo tale da comprenderne gravità e natura.
Tra le varie possibilità a nostra disposizione, quello migliore sono senza dubbio la mediazione e negoziazione.
La negoziazione è invece un processo attraverso il quale due o più parti indipendenti, partendo da posizioni diverse, definiscono obiettivi comuni, accettati e realizzabili anche mediante l’utilizzo integrato delle loro risorse portando alla massima soddisfazione i rispettivi bisogni. In questo processo ricopre un ruolo indispensabile la comunicazione; essa infatti deve essere:
Sembra più facile a dirsi che a farsi, ma questi aspetti risultano tutt’oggi estremamente importanti non solo per la creazione di un gruppo di lavoro coeso e unito verso gli obiettivi prefigurati, ma anche per la realizzazione di un clima d’armonia che comporterà effetti benefici a noi professionisti (prima di tutto) e poi anche ai pazienti.
Pasquale Fava
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