Interruzione Volontaria di Gravidanza: uno sguardo alla normativa italiana (Lg 194/78)

L’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) trova origine sin dai tempi antichi in cui le pratiche eseguite erano crude e molto spesso sfociavano nella perdita della vita anche della donna stessa. Con il tempo pur sempre in regime di clandestinità l’aborto veniva praticato con tecniche più sicure ma pur sempre rischiose.

In passato l’interruzione volontaria di gravidanza veniva interpretata come l’“Uccisione” di un essere umano tra il concepimento e la nascita (secondo L’Evangelicum Vitae) e dal punto di vista normativo ci si atteneva al “Codice Rocco” dell’epoca fascista, secondo il quale l’interruzione volontaria di gravidanza era considerata un reato in ogni sua forma, pena la reclusione per la donna sino a 5 anni.

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In particolare, vale la pena di ricordare gli articoli 545, 546, 547, 548, 549 e 550 poi abrogati nel 1978 con la legge 194.

Art. 545. Aborto di donna non consenziente. Chiunque cagiona l’aborto di una donna, senza il consenso di lei, è punito con la reclusione da sette a dodici anni.

Art. 546. Aborto di donna consenziente. Chiunque cagiona l’aborto di una donna, col consenso di lei, è punito con la reclusione da due a cinque anni.

Art. 547. Aborto procuratosi dalla donna.

La donna che si procura l’aborto è punita con la reclusione da uno a quattro anni.

Art. 548. Istigazione all’aborto.

Chiunque fuori dei casi di concorso nel reato preveduto dall’articolo precedente, istiga una donna incinta ad abortire, somministrandole mezzi idonei, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

Art. 549. Morte o lesione della donna.

Se dal fatto preveduto dall’articolo 545 deriva la morte della donna, si applica la reclusione da dodici a venti anni; se deriva una lesione personale, si applica la reclusione da dieci a quindici anni.

Art. 550. Atti abortivi su donna ritenuta incinta.

Chiunque somministra a una donna creduta incinta mezzi diretti a procurarle l’aborto, o comunque commette su lei atti diretti a questo scopo, soggiace, se dal fatto deriva una lesione personale o la morte della donna, alle pene rispettivamente stabilite dagli articoli 582, 583 e 584.

Qualora il fatto sia commesso col consenso della donna, la pena è diminuita.

Tuttavia la Corte Costituzionale, pur ritenendo che “la tutela del concepito ha fondamento costituzionale” (art. 2 della Costituzione in difesa dei diritti inviolabili dell’uomo), si espresse in favore dell’interruzione della gravidanza (indicata con la sigla IVG) se giustificata da motivi molto gravi (sentenza n. 27 del 18/2/1975). Fu questo il primo passo verso una visione più moderna, aprendo di fatto la strada verso la nuova disciplina sull’aborto, consentendo così la soppressione del feto quando la gravidanza “implichi danno o pericolo grave, medicalmente accertato e non altrimenti evitabile, per la salute della donna” (secondo i giudici del Palazzo della Consulta). Tre anni dopo, più precisamente il 22/5/1978, veniva definitivamente approvata la legge 194/78, secondo la quale decadevano i reati previsti dal titolo X e si consentiva l’interruzione della gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione, nei casi in cui la sua prosecuzione costituisse gravi rischi per la salute psico-fisica della donna.

Nel maggio del 1981, tramite referendum, gli elettori italiani confermarono la legge 194/78. I quesiti referendari relativi alla legge del 1978 erano due; uno era stato proposto dal Partito Radicale che chiedeva l’abrogazione di alcune norme per rendere più libero il ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza; l’altro, di segno opposto al primo, era stato promosso dal Movimento per la Vita per restringere i casi di liceità dell’aborto. Né il Partito Radicale né il Movimento della Vita raggiunsero il proprio scopo; all’abrogazione nel primo caso arrivarono al 11,60%, mentre nel secondo caso arrivarono al 32%.

Attualmente in Italia, l’IVG è garantita dalla Lg 194 del 22 maggio 1978 (Lg 194/78 : Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza), con l’introduzione dell’aborto libero, gratuito a spese dello Stato.

Con la Lg 194/78 si descrivono con chiarezza le procedure da seguire in caso di richiesta di IVG (esame delle possibili soluzioni dei problemi proposti, aiuto alla rimozione delle cause che porterebbero alla IVG, certificazione, invito a soprassedere per sette giorni in assenza di urgenza) sia entro che oltre i primi 90 giorni di gravidanza; inoltre secondo quanto espresso dalla normativa non può rappresentare un mezzo di controllo delle nascite ma uno strumento per non mettere a rischio la salute fisica e psichica della donna. Obiettivo primario della legge è la tutela sociale della maternità e la prevenzione dell’aborto attraverso la rete dei consultori familiari, un obiettivo che si intende perseguire nell’ambito delle politiche di tutela della salute delle donne.

Dal 1982 ad oggi gli aborti si sono praticamente dimezzati, riducendosi del 45% ed è stato cancellato l’aborto clandestino e la conseguente altissima mortalità materna (questo soprattutto grazie alla legge appena citata). Un’analisi del fenomeno è presente nelle relazioni che il Ministro della Salute annualmente presenta al Parlamento.

Il termine dei 90 giorni può non essere un limite nella misura in cui la gestazione e/o il parto comportino una grave minaccia per la donna stessa o gravi anomalie del feto.

La donna di età inferiore ai diciotto anni, per poter effettuare l’IVG deve avere l’autorizzazione di entrambi i genitori o del giudice tutelare. Qualora manchi il consenso dei genitori, la minore potrà avvalersi dell’autorizzazione del giudice tutelare, rivolgendosi ad un consultorio pubblico o una struttura socio-sanitaria abilitata, o ad un medico di base. Il giudice entro 5 giorni, sentita la minore, adduce una relazione e può autorizzare la stessa minore a decidere l’interruzione volontaria della gravidanza.

Nel caso di infermità di mente, valgono le stesse modalità previste per la minorenne, in più è prevista l’azione abortiva anche dopo esser trascorsi i 90 giorni dal concepimento.

In un’ottica europea la legislazione sulla riproduzione è considerata come argomento di competenza nazionale. L’Aula del Parlamento di Strasburgo ha approvato la relazione di Marc Tarabella, sulla parità uomo-donna; in tale relazione si sottolinea la necessità di garantire i diritti delle donne anche attraverso un accesso agevolato alla contraccezione ed aborto.

L’aborto è l’interruzione della gravidanza che determina la morte del feto e può essere naturale o provocata dall’intervento umano. Quest’ultimo tipo è stato reso lecito, cioè ammesso e consentito (nonostante il continuo e ancora attuale dibattito sulla natura etica e morale dell’intervento), se ricorrono determinate condizioni e con un diverso regime rispettivamente prima e dopo il novantesimo giorno, dalla Legge n. 194/1978.

 

Maurizio Limitone

Redazione Nurse Times

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