Willem Tousijn, sociologo contemporaneo, sul suo libro “Le libere professioni in Italia” scrisse: “la figura dell’infermiere professionale nasce soltanto con l’affermarsi della medicina scientifica, e in particolare con la trasformazione dell’ospedale in istituzione specializzata nella funzione di cura degli ammalati. Essa è frutto della nuova divisione del lavoro sanitario che si instaura nell’ospedale, e come tale si trova fin dalla nascita in posizione di subordinazione strutturale alla figura del medico”.
Quando la storia dell’assistenza ha visto nascere l’istituzionalizzazione dei luoghi di cura, la responsabilità professionale dei medesimi è stata affidata alle figure che maggiormente erano ritenute idonee e competenti in merito alla tutela della salute. I medici che, incentivando tali premesse, hanno contribuito grandemente a fare dell’infermiere un “esecutore della scienza medica” e si è ben presto allontanato dalle mansioni che inizialmente erano sorte in risposta a quanto richiesto dal contesto sociale
In una prima fase fu soprattutto grazie alla Croce Rossa, ad alcuni movimenti femminili e all’interesse per alcune esperienze straniere che maturò la convinzione che l’infermiera dovesse avere una formazione specifica che le consentisse di svolgere un’attività che non poteva più basarsi esclusivamente sul supporto della fede o dell’obbedienza a ordini e decisioni superiori, medici o religiosi che fossero.
Nel nostro Paese le prime esperienze di formazione risalgono ai primi anni del Novecento e si strutturano nella forma di corsi interni agli ospedali, di profilo piuttosto basso, ma anche di iniziative illuminate, molto avanzate, mutuate dal modello anglosassone che prevedeva già all’epoca vere e proprie scuole di durata biennale: sorsero così la Scuola convitto Regina Elena di Roma (1910), l’Ambulatorio-Scuola San Giuseppe di Roma (1906), la Scuola convitto Principessa Jolanda di Milano (1912), la Scuola convitto annessa all’Ospedale Civile di Firenze (1914), la Scuola Croce Azzurra di Napoli (1896).
Stabilisce che la formazione teorico-pratica dell’infermiere professionale, di durata biennale e con programmi ministeriali, si concluda, previo superamento di un esame di Stato, con il conseguimento del diploma di Infermiere professionale che costituisce titolo obbligatorio (solo per i primi anni titolo preferenziale) per l’esercizio della professione, inoltre stabilisce un ulteriore anno di formazione abilitante alle funzioni direttive (capo sala), ma solo con il R.D. del 1929, esecutivo del n. 2330/1926, si richiedono per l’accesso alle scuole per infermiere, due requisiti: l’attestato di scuola elementare e un certificato di “indiscussa moralità”.
Finalmente si stabilisce un percorso formativo che porti previo superamento di un esame di stato all’abilitazione all’esercizio della professione che è bene ricordare è e resterà per lungo tempo ancora ausiliaria e subordinata alla figura medica.
Il 15 giugno 1956 viene eletto il primo Comitato centrale della Federazione Ipasvi (Infermieri professionali, Assistenti sanitari e Vigilatrici d’infanzia).
Negli anni Sessanta in tutti i paesi della Comunità Economica Europea si registra un forte interesse a riformare la formazione infermieristica. Nel 1957 sulla spinta del Trattato di Roma relativo al diritto di libera prestazione dei servizi, viene siglato a Strasburgo l’Accordo europeo sull’istruzione e sulla formazione dell’infermiere, che si pone l’obiettivo di uniformare la preparazione dell’infermiere. Il nostro Governo aderisce a questa impostazione apponendo la propria firma il 15 novembre 1968, con riserva di ratifica da parte del Parlamento. Questa, però, avverrà solo nel 1973.
Nel 1968 viene emanata la legge 132 di riforma ospedaliera, passata alla storia come “legge Mariotti”, e nel 1969 vedono la luce i suoi tre decreti applicativi (128,129 e 130). Gli infermieri sono delusi: i suggerimenti proposti dalla professione, infatti, non risultano recepiti.
L’ingresso degli uomini nella professione si realizza solo nel 1971, con la legge 124. Questa legge, inoltre, prevede, a partire dall’anno scolastico 1973-74, che per accedere ai corsi i candidati abbiano un certificato di ammissione al terzo anno di scuola secondaria superiore e un’età minima di 16 anni.
Il 15 novembre 1973, la legge 795 ratifica il citato Accordo europeo sull’istruzione e formazione delle infermiere. Si tratta di un atto importante per l’evoluzione infermieristica, sia dal punto di vista concettuale che giuridico. Infatti per la prima volta si riconoscono agli infermieri una competenza sulla salute delle persone secondo un approccio olistico, una fondamentale responsabilità diagnostica, la capacità di lavorare in équipe e, oltre alla competenza assistenziale, anche quelle formativa e organizzativa nei confronti del personale ausiliario.
Questi cambiamenti in ambito formativo si riflettono necessariamente anche sulla regolamentazione dell’esercizio professionale: infatti il Rd del 2 maggio 1940, n. 1310, sulle mansioni degli infermieri professionali viene modificato con il Dpr 14 marzo 1974, n. 225. Ma a fronte della dirompente evoluzione preconizzata dall’Accordo, le modifiche introdotte nel “mansionario” risultano irrisorie e legate essenzialmente a nuove pratiche tecniche (il prelievo di sangue e l’iniezione endovenosa).
Con la legge 341/90 viene istituito un nuovo livello formativo che riforma gli ordinamenti didattici universitari: il Diploma Universitario triennale (Du) che, interponendosi tra la scuola secondaria superiore e i corsi di laurea, rappresenta la soluzione a un’esigenza sempre più sentita nel mondo del lavoro. Così, a seguito della riforma, con un decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica viene istituito anche il Du in Scienze infermieristiche
Ad aprire finalmente le porte dell’Università agli infermieri è il decreto 2 dicembre 1991 che istituisce il Diploma universitario in Scienze infermieristiche.
Dopo un periodo di prima applicazione in cui i corsi universitari coesistono con quelli regionali del precedente ordinamento, nel 1996 la formazione infermieristica passa definitivamente ed esclusivamente sotto l’ordinamento didattico degli atenei.
Con il successivo decreto 509/1999 giunge a compimento, dopo gli Accordi europei di Parigi e di Bologna, il cammino della riforma degli studi universitari, iniziato negli anni Ottanta, e si definisce un sistema basato sulla libertà degli atenei di darsi uno statuto, un’autonomia amministrativa e finanziaria e un autonomo ordinamento dei corsi di studio.
Il nuovo sistema, basato sui crediti formativi, istituisce le lauree triennali e prevede la possibilità di iscriversi successivamente ai corsi di perfezionamento universitario, ai master di primo livello, alla laurea specialistica biennale, ai master di secondo livello, al dottorato di ricerca.
“I diplomi conseguiti in base alla normativa precedente dagli appartenenti alle professioni sanitarie di cui alle leggi 26 febbraio 1999, n. 42, e 10 agosto 2000, n. 251, e i diplomi di assistente sociale sono validi ai fini dell’accesso ai corsi di laurea specialistica, ai master ed agli altri corsi di formazione post base di cui al Dlgs 509/99”.
Infine, nell’anno accademico 2004-2005, decollano finalmente anche le lauree specialistiche in Scienze infermieristiche, che vengono attivate in 15 Atenei italiani.
E’ il Dlgs 502/92 che pone le premesse della riforma dell’esercizio professionale. Esso stabilisce che il Ministro della Sanità debba individuare con proprio decreto le figure professionali da formare e i relativi profili, e che la formazione del personale sanitario (infermieristico, tecnico e della riabilitazione) debba avvenire in sede ospedaliera e secondo ordinamento didattico universitario.
In altri termini, lo Stato, garante del rispetto dell’articolo 32 della Costituzione, commissiona all’Università la specifica formazione di un professionista di cui esso stesso ha stabilito il campo proprio di attività e responsabilità. Tra l’altro il Dlgs 502/92 e i successivi 517/93 e 229/99 di riordino del sistema sanitario nazionale affermano il principio dell’educazione continua in medicina (Ecm), in base al quale nel 2002 la formazione continua del personale sanitario diventerà obbligatoria.
L’emanazione del decreto sul profilo previsto dal Dlgs 502/92 incontra, comunque, notevoli difficoltà e suscita controversie, anche aspre, ingenerate dalla preoccupazione di una possibile invasione nella sfera di competenza di altre professioni o di un eccesso di autonomia che, in particolare per gli infermieri, avrebbe potuto metterli nella condizione di prescindere dagli atti e dalla primazia del medico.
La promulgazione della legge 42/99 pone un’altra pietra miliare nel processo di crescita dell’infermiere. Togliere vincoli ormai anacronistici e inopportuni che obbligavano la presenza del medico anche per svolgimento di attività che in realtà l’infermiere già esercitava in autonomia, rappresenta una fondamentale premessa per far decollare l’assistenza infermieristica in tutti gli ambiti dell’esercizio professionale. La semplice ma basilare eliminazione dell’aggettivo “ausiliaria” alla denominazione “professione sanitaria ausiliaria”, che dal 1934 gli infermieri si trascinavano dietro, è la premessa giuridica indispensabile per l’abolizione del mansionario.
La 42/99 introduce un’altra novità: il riconoscimento della formazione post base come ulteriore strumento per la definizione delle competenze. Non più l’infermiere unico e polivalente, ma un infermiere che in base all’esperienza professionale e al suo curriculum formativo si assume una reale responsabilità nell’esercizio delle proprie competenze.
La 251, inoltre, riordinando le professioni in quattro categorie (infermieristiche e ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie, tecniche della prevenzione), permette l’ancoraggio, sul piano formativo, al Dm 2 aprile 2001, che a sua volta determina le omologhe quattro classi delle lauree specialistiche delle professioni sanitarie.
La sfida dei nostri giorni è rappresentata dalle competenze specialistiche e quindi da una sempre maggiore autonomia gestionale e decisionale dell’infermiere che è in questo periodo in discussione nella conferenza stato-regioni nel quadro di una più generale riorganizzazione del SSN naturalmente incontra forti resistenze da parte di altre professioni sanitarie, ma a questo siamo abituati la storia della nostra professione è piena di resistenze e arroccamenti sterili, che temono ciecamente invasioni di campo e tendono a difendere strenuamente il loro orticello. Oggi siamo tutti chiamati a dimostrare l’alto livello di competenze raggiunte e a sostenere con la forza del nostro sapere e sape fare questo ultimo strategico obiettivo per la nostra professione.
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