La Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI), rappresenta oggi 456.000 infermieri iscritti agli Ordini professionali. Tale popolazione opera per il 66,2% nel sistema sanitario nazionale (61,5% a tempo indeterminato e 4,7% a tempo determinato), l’11,3% nel privato e privato accreditato e il 9,7% con regime di libera professione.
I disegni di legge presentati, trattano il tema dell’abolizione del numero programmato per il CdS in medicina e chirurgia e nel caso del DDL 916 e 980 anche per le 23 professioni sanitarie, tra cui il CdS in Infermieristica.
L’apertura incondizionata del sistema che prevede la definizione dei posti in formazione, correlato alla definizione dei fabbisogni del Sistema Sanitario italiano, avrebbe effetti deleteri da più punti di vista.
L’ipotesi che l’abolizione di tale meccanismo possa risolvere la carenza di professionisti medici e infermieri, non tiene conto del fatto che i dati OCSE indicano che il numero di medici nel nostro Paese, in rapporto agli abitanti, è anche sopra la media dei paesi Ue (4,3 per mille abitanti contro una media di 4 per mille abitanti), mentre la carenza si evidenzia in alcune specialità, di cui aumenta il fabbisogno anche in funzione del mutato quadro epidemiologico, che richiederà sempre più assistenza alla cronicità, alla non autosufficienza e alla prevenzione come sottolineato anche dal PNRR piuttosto che dal DM 77/2022 di sviluppo dell’assistenza sul territorio.
Tali dati evidenziano quindi non una carenza di professionisti medici, bensì, come dichiarato dalla rappresentanza stessa, di specializzazioni specifiche.
La professione infermieristica soffre ormai da anni di una carenza strutturale, celata per anni dal blocco di turn over ed esplosa con la pandemia, che vedrà a partire dall’anno 2030 un forte innalzamento (già oggi in atto) dei pensionamenti per l’arrivo della gobba pensionistica con un totale di circa 140.000 uscite in 10 anni (14.000/anno verso gli 8.000/anno del 2022).
Tale situazione ha portato negli ultimi anni all’aumento significativo dei posti in formazione (oltre il 27% dal 2018 al 2023 e oltre il 47% dal 2001 al 2023), determinato in primis dal cambiamento demografico che si è avviato inesorabilmente verso un “inverno demografico” e una “lunga stagione assistenziale”, dalla richiesta delle Regioni, dalla richiesta della categoria e dalle risultanze del modello previsionale europeo alla quale l’Italia, attraverso il Ministero della Salute, ha aderito da molti anni.
Tale riduzione ha cause multifattoriali, dal differente costo della vita delle aree geografiche, alla situazione retributiva dei professionisti, all’assenza di possibilità di sviluppi di carriera, ecc.
La programmazione dei posti e l’individuazione di quelli da rendere disponibili, inoltre sono stati il frutto, pur con diverse metodologie, di un delicato e complesso equilibrio di rapporti che hanno messo in gioco le professioni, i Ministeri della Salute e della Università, nonché la Conferenza Stato Regioni. Questo lavoro di identificazione delle esigenze, consultando le professioni in una concertazione per assicurare una tenuta complessiva del sistema, verrebbe vanificato nel suo percorso, nei meccanismi decisionali e nella sua storia, basati sull’attenzione agli studenti, per assicurare loro la qualità formativa necessaria al ruolo che occuperanno, e a tassi di occupazione adeguati e coerenti alle aspettative.
Tale scelta ridurrebbe inoltre uno stimolo importante verso i giovani a costruire la propria preparazione sulle discipline di base quanto più solida possibile per realizzare le proprie aspirazioni professionali. Non solo sarebbe scontato l’accesso all’università, ma inevitabilmente abbasserebbe l’attenzione all’apprendimento e alla preparazione con potenziali negative influenze sul futuro professionale.
Il messaggio che il Paese darebbe, oltre alla stratificazione delle professioni di cui sopra, ha contenuti negativi: per le professioni tra le più delicate, impegnate nel servizio e nella cura dei più fragili, il Paese non prevede alcuna forma di selezione né dei contenuti e neppure delle attitudini.
Questa scelta abbasserebbe notevolmente la stessa preparazione, il concetto di merito a cui il Paese ambisce (art. 34 Costituzione) e lo stimolo verso i giovani a comprendere da subito la rilevanza di queste professioni, che proprio per la loro peculiarità, devono prevedere meccanismi selettivi.
L’ulteriore criticità sorge anche dal fatto che, ad oggi, dati interni dei CdS in infermieristica, evidenziano che una parte di studenti che accedono alle professioni sanitarie e, nello specifico a infermieristica, vi accedono con delle aspettative forti su medicina e altre professioni a maggiore attrattività, anche per una non completa conoscenza delle professioni sanitarie e delle loro potenzialità. Questa porzione di candidati che accedono a infermieristica per non aver superato la selezione ad altri CdS, verrebbe meno, creando ulteriore calo di domande. Sempre da dati interni si evidenzia infatti che l’orientamento iniziale realizzato dai corsi di studio per le neomatricole aiuta questi candidati a chiarire le potenzialità dell’infermieristica in cui quasi sempre rimangono con soddisfazione.
Le azioni necessarie semmai sono di altra natura, come ad esempio la necessità di revisione delle professionalità necessarie per la sostenibilità in risposta ai bisogni della popolazione e dei criteri di accesso ai corsi di laurea triennali (es. test di ammissione separato almeno per classi di laurea, nuove modalità più flessibili, ecc..) e la revisione dei protocolli d’intesa Regioni Università per migliorare e sostenere la formazione con norme di comportamento comuni e omogenee sul territorio nazionale, per l’organizzazione e la gestione dei percorsi formativi, come definito dall’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema universitario e della Ricerca (ANVUR).
Discorso opposto secondo la scrivente Federazione, per la laurea magistrale in Scienze Infermieristiche, in analogia con quanto indicato per le specializzazioni mediche, sul cui sviluppo è necessario insistere anche per qualificare la professione e innalzare il livello formativo per una maggiore visione di carriera, soprattutto nell’ambito clinico.
In conclusione la FNOPI ritiene che l’abolizione del numero programmato per l’accesso ai CdS delle professioni sanitarie (tra cui Infermieristica) e del CdS in Medicina e Chirurgia, possa esacerbare ulteriormente la fragilità di un sistema salute nazionale creando gravi disequilibri nell’ambito formativo accademico con conseguente impatto sulla qualità formativa dei professionisti responsabili della cura, assistenza, riabilitazione e prevenzione della popolazione italiana e quindi della sicurezza delle competenze erogate ai cittadini del nostro Paese.
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