Imposizione del vaccino Covid per i sanitari: croce e delizia!

Da più parti d’Italia si inseguono notizie di coloro i quali, vorrebbero spingere i sanitari verso un obbligo vaccinale.

Pur in uno slancio propositivo e positivo adottano misure precise contro gli operatori sanitari.

Vorrebbero imporlo, lo consigliano fortemente pena il posto di lavoro, lo richiamano a vessillo deontologico per la professione sanitaria.

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Purtroppo si imbattono presto o tardi nei paletti delle norme giuridiche ancora tutte in bianco riguardo all’obbligo vaccinale.

Ma per alcuni aspetti, il senso di marcia è verso una vaccinazione a protezione della salute individuale e collettiva.

Cosa può obbligare al vaccino Covid?

Vaccino si, vaccino no, indecisione in attesa di chiarimenti.

Innanzitutto l’obbligatorietà di sottoporsi al vaccino deve essere dettata da una legge specifica e non da un D.P.C.M..

Anche meglio sarebbe data l’urgenza, un apposito decreto legge, per favorire una saturazione della campagna di vaccinazione a favore dei sanitari, unica barriera indispensabile contro la diffusione del virus: proteggere chi cura.

L’art. 32 della Costituzione esprime il diritto alla salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, inoltre indica che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario (la vaccinazione) se non per disposizione di legge.

Quindi due blocchi contrastanti che in alcuni creano qualche dubbio: il diritto di essere curato contro quello di rifiutarsi e autodeterminarsi.

Anche se rimane il conflitto con l’interesse della salute della collettività. La libertà individuale si ferma su un labile confine, oltre il quale si può nuocere alla salute dell’altro o alla salute pubblica.

Un principio di precauzione verso l’imposizione

Contrasti plausibili d’altronde potrebbero richiamare delle obiezioni ad una eventuale legge sull’obbligo vaccinale. Il punto focale sarebbe l’incertezza che il vaccino Covid al momento, non assicura la non trasmissibilità del virus.

Quindi decadendo la condizione della tutela della salute della collettività come certezza, presupposto dettato dalla Costituzione, decadrebbe il trattamento sanitario obbligatorio: la libertà individuale prevarrebbe.

Per contro si potrebbe arrivare a proporre un principio di precauzione data la forza maggiore dettata dall’emergenza, dai dati e dalle conoscenze scientifiche disponibili.

Arrivando ad un ragionevole presupposto di obbligo anche se manca una condizione certa di non trasmissibilità.

Recente il caso dell’infermiera siciliana che ha vinto il ricorso davanti al Giudice del Lavoro contro il Policlinico di Messina e l’Assessorato alla Salute. Gli era stato imposto un “obbligo” ed un ultimatum, scavalcando la competenza dello Stato.

Secondo il proprio datore di lavoro avrebbe dovuto vaccinarsi entro il 20 dicembre scorso.

Solo lo Stato quindi può imporre un obbligo con un’apposita legge.

In attesa dell’unica e sola mossa del legislatore in merito all’obbligo del vaccino Covid, si possono aprire diversi scenari.

Anche senza una legge che toccherebbe tutti, diverso è il caso di un lavoratore, specialmente nel settore sanitario.

Per il lavoratore si aprirebbero due strade che percorrono l’ambito privatistico, cioè il rapporto tra lui e il datore di lavoro.

Entrambe lo porterebbero comunque ad un “obbligo” vaccinale.

Obbligo per il Testo Unico Salute e Sicurezza

In base al Testo Unico Salute e Sicurezza (d.lgs. 81/2008), il datore di lavoro deve predisporre delle misure adeguate a protezione del lavoratore dedito ad attività considerate a rischio di esposizione ad agenti biologici.

Ed è proprio la leva utilizzata andando a considerare il virus SARS-Cov-2 come agente patogeno altamente rischioso per l’uomo.

Nel momento in cui il lavoratore corre un rischio esponendosi ad agenti biologici, il datore di lavoro, «su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari».

La protezione passa da “la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione.“

Il compito da non sottovalutare da parte del medico competente è quello di informare adeguatamente dei “vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione“ (art. 279).

Quando e se di conseguenza, il lavoratore manifesti il dissenso al vaccino da cui deriva l’inidoneità alla mansione, sempre in base al giudizio del medico competente, può configurarsi l’allontanamento temporaneo del lavoratore dal suo specifico posto di lavoro.

Il datore di lavoro pertanto può destinare il suo lavoratore a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori, ma garantendo il trattamento economico corrispondente alle mansioni di provenienza.

Se in ultima analisi non si potesse verificare questa possibilità, il datore di lavoro potrebbe arrivare a licenziare il dipendente.

Resta assodato che è indispensabile accertare uno specifico rischio di esposizione all’agente biologico, affinchè il dipendente sia obbligato al vaccino: terapia intensiva, malattie infettive, ecc..

Di diverso effetto sarebbe invece una posizione lavorativa con un solo rischio potenziale latente o minimo.

Il rapporto di lavoro privatistico

Un’altra via tocca il rapporto stretto tra lavoratore sanitario e datore di lavoro.

L’obbligo vaccinale potrebbe essere il fulcro sulla quale questi incentrerebbe la conditio sine qua non per lo svolgimento di specifiche mansioni come quelle cliniche, operative assistenziali, tecniche, ecc.

Il lavoratore rifiutando, si imbatterebbe in un inadempimento contrattuale in quanto ha disatteso una direttiva dall’alto.

A differenza dal precedente esempio, questo comportamento può essere messo in atto dal datore di lavoro non per tutelare il lavoratore bensì per salvaguardare la corretta attività lavorativa verso gli utenti (in tal caso adottando misure contenitive da contagio).

La struttura sanitaria infatti è di per sè anche connotata da aspetti di protezione verso i pazienti, le cure in genere devono essere erogate in sicurezza ma anche garantendo una salubrità ambientale.

Tanto che potrebbe essere oggetto di contenziosi legali scaturiti da eventuale contagio da virus occorso ad un paziente, non avendo garantito protocolli mirati alla sicurezza igienico-sanitaria contro l’agente biologico.

Ecco pechè viene giustificata la richiesta di vaccinazione verso il dipendente.

La strada deontologica del sanitario infermiere

A livello deontologico è sancito che l’agire dell’infermiere deve essere sostenuto da saperi validati dalla comunità scientifica. La professione quindi deve riconoscere il valore della ricerca e della sperimenazione.

L’infermiere è tenuto a rispettare delle linee di indirizzo relative al proprio Ordine Professionale, che rimangono vincolanti per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Proprio la vaccinazione del lavoratore è accoltà in virtù dell’etica di protezione dell’assistito rispondente a tale principio inderogabile.

La Federazione Nazionale degli Ordine delle Professioni Infermieristiche (FNOPI), è in linea con la comunità scientifica nazionale internazionale che riconosce alle vaccinazioni un ruolo essenziale a livello di prevenzione e di lotta al virus e, in generale, alle principali malattie diffusive.

Tali presupposti ordinistici riguardanti le professioni sanitarie come allo stesso modo avviene per i medici ed altri, avrebbero dei punti di arresto.

Non potrebbero cioè, innescare automaticamente un obbligo sovrano alla vaccinazione, anche ove esistenti sanzioni disciplinari arrivando in ultima analisi alla radiazione.

Tutte queste strade, visto l’eventuale rifiuto alla vaccinazione, coinflirebbero inevitabilmente verso aspri contrasti. Lavoratore, datore di lavoro ed Ordine professionale, l’uno contro l’altro in una disputa deleteria per le importanti categorie rappresentate.

Rimane per il momento incerto l’orientamento, mancando ancora un intervento chiaro del legislatore.

Ciò nonostante il punto fermo è la mancanza di un legge ad hoc che obblighi tutti a vaccinarsi.

Giovanni Trianni infermiere legale forense

Fonti

Azzolini V., Coronavirus: cosa dice la legge per i medici che non vogliono vaccinarsi? Medicalfacts di Roberto Burioni, 15/01/2021

FNOPI, Vaccinazioni: infermieri pronti a vaccinare e farsi vaccinare, 21/12/2020

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Giovanni Trianni

Infermiere presso DSM ASL Lecce. Docente, Formatore e Tutor. Master in infermieristica legale forense, Master in Management per Funzioni di Coordinamento delle Professioni Sanitarie, Master in Psicologia Investigativa e Scienze Criminali. Membro APSILEF. I suoi lavori spaziano nella sfera dell'infermieristica legale forense con uno sguardo attento alla responsabilità professionale, al diritto del lavoro, al rischio clinico, alla malpractice fino alla cronaca sanitaria.

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