Infermiere in Wound Care

Idrocolloidi: Osservazioni di una infermiera

Piaghe da decubito o lesioni da pressione.

Ogni operatore sanitario ha avuto occasione di trattarle almeno una volta nella sua pratica clinica. Queste ferite particolari possono insorgere in diverse sedi del corpo, soprattutto nelle aree con le prominenze ossee che sono soggette a pressione continua: scapole, trocanteri, osso sacro, coccige, talloni, gomiti, ecc. Possono assumere diversi aspetti e variare nella profondità (i famosi quattro stadi).

Oppure essere pulite o ricoperte dalla fibrina o da una escara. Possono infettarsi e progredire verso stadi ulteriori. Possono anche guarire grazie alla proliferazione delle cellule (nel caso in cui la membrana basale è rimasta intatta dalla lesione) oppure mediante accostamento dei bordi o in seguito alla formazione del tessuto cicatriziale.

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Purtroppo queste lesioni della cute sono molto frequenti. Se gli operatori ospedalieri possono osservare e trattare le LDP solamente nel breve periodo di un ricovero, gli infermieri che lavorano sul territorio hanno la fortuna di poter seguire i pazienti aventi queste  problematiche per un tempo molto più lungo osservando la loro evoluzione e adottando i migliori prodotti disponibili per farli guarire.

Oggi abbiamo una vastissima gamma di medicazioni avanzate create apposta per trattare lesioni cutanee di qualsiasi tipo e stadio. Non entro nel merito ad elencare tutta la lista di questi prodotti, vorrei soffermarmi sul uno specifico, utilizzato ampiamente dai sanitari e condividere con voi le mie osservazioni: si tratta degli Idrocolloidi.

In  premessa, leggiamo le indicazione e le modalità d’uso degli idrocolloidi, fornite dal produttore di questo prodotto abbastanza noto nell’ambito sanitario:

“Questo prodotto può essere utilizzato per il trattamento delle lesioni da scarsamente a moderatamente essudanti, tra cui le ulcere degli arti inferiori, le ulcere da pressione, le ustioni superficiali, le ustioni superficiali a spessore parziale, i siti di prelievo cutaneo, le lesioni post-operatorie e le abrasioni cutanee. La medicazione può rimanere in situ fino a 7 giorni a seconda delle caratteristiche specifiche della lesione”.

Come vediamo il produttore indica un grande campo dove gli idrocolloidi possono essere utilizzati, senza però entrare molto nello specifico. Ovviamente i sanitari oltre ad essere a conoscenza di queste indicazioni a loro volta hanno a disposizione un bagaglio di conoscenze su raccomandazioni e linee guida riguardanti il trattamento delle LDP, laddove sostengono che gli idrocolloidi sono prodotto migliore per il trattamento di lesioni di I e di II stadio con le secrezioni scarse o moderate. Ma non è sempre così. E qui vi vorrei presentare le mie osservazioni. Procediamo per gradi:

LDP di I grado:

non serve nessun prodotto per trattarle, basta solo eliminare la causa principale che ha fatto insorgere l’eritema fisso, cioè la pressione. Il paziente deve essere semplicemente girato più spesso a letto e preferibilmente va applicato un sistema antidecubito specialmente se il cambio della posizione risulta difficile. Ovviamente una accurata igiene della cute è un fattore imprescindibile. In questo caso non servono idrocolloidi, neanche sottili. La pelle deve respirare e una qualsiasi medicazione applicata ostacola questo processo naturale.

LDP di II stadio con  scarsa o moderata presenza di essudati, ma priva di fibrina:

molti operatori scelgono gli idrocolloidi per il trattamento di lesioni di questo tipo, non solo perché il produttore stesso dà tale indicazione, ma semplicemente per la comodità. Infatti gli idrocolloidi sono facilissimi da applicare e molto spesso non richiedono le medicazioni secondarie per il fissaggio. Inoltre possono durare svariati giorni. Cosa avviene però alla ferita ricoperta da questa medicazione? La ferita suda di più. 

Il principio cardine di Idrocolloidi è riscaldare la lesione creando l’ambiente umido ed in questo modo favorire la proliferazione cellulare. Però in realtà non è quello che avviene. Talvolta eccessiva umidità fa sì che i bordi della ferita si lacerino ostacolando la proliferazione cellulare dai margini verso il centro e quindi la guarigione si rallenta, per non parlare della crescita batterica decisamente più veloce nell’ambiente umido.

E quindi per le LDP di II stadio la medicazione ideale rimane quella a secco. Cioè detersione con soluzione  fisiologica (o Ringer Lattato) e poi asepsi accurata con disinfettanti aventi la capacità di seccare, come iodopovidone o eosina soluzione acquosa. Non serve nessun’unguento. Infine si ricopre con alginato o con la semplice garza sterile fissando la medicazione con il cerotto oppure con la pellicola trasparente di poliuretano che non irrita la cute perilesionale.

Inoltre durante il giorno sarebbe utile esporre la ferita all’aria (senza la medicazione): in questo modo si elimina il fattore pressione, che è la causa principale della lesione e si favorisce la respirazione cellulare.

LDP di II grado ricoperte dalla fibrina:

qui il discorso è diverso. Ogni infermiere è consapevole che l’approccio primario nel processo di guarigione è ottenere l’aspetto pulito del letto della ferita. E quindi si inizia con il debridment chirurgico, enzimatico o autolitico. 

Non mi soffermo sui primi due, vi vorrei parlare del terzo – debridment autolitico, ciò la degradazione del tessuto devitalizzato attraverso il rilascio degli enzimi proteolitici endogeni. In altre parole permettendo il proprio corpo eseguire il lavoro delle medicazioni avanzate. 

Idrocolloidi in questo caso sono la scelta migliore.

Con la loro capacità di sollevare la temperatura nel punto di applicazione e favorire la giusta umidità della ferita il meccanismo autolitico di degradazione del tessuto devitalizzato si innesca velocemente ed è continuo. La fibrina si ammorbidisce e si scioglie nei tempi abbastanza rapidi. Lo stesso avviene anche con l’escara dura. 

Le medicazioni con gli idrocolloidi indirizzati a debridment possono essere abbinate anche con idrogel. In questo modo si aggiunge ulteriore umidità alla ferita e quindi il processo di degradazione del tessuto devitalizzato avviene ancora più velocemente. 

Importante però non prolungare il trattamento con gli idrocolloidi oltre alla fase di completo scioglimento della fibrina o escara in quanto l’eccessiva umidità ed inalzamento di temperatura generata da questo tipo di medicazioni applicata alla ferita ormai pulita inizia a giocare una brutta partita. I bordi della lesione si lacerano, e quindi la rigenerazione cellulare viene ostacolata. Per questo motivo la soluzione migliore sarebbe passare alle medicazioni a secco oppure medio umide.

LDP di III e  IV stadio con la fibrina:

nella prima fase di debridment lo schema da adottare per le lesioni da pressione del terzo e del quarto stadio, nel caso di presenza del tessuto devitalizzato, è identica a quella per le LDP di II stadio con la stessa morfologia. Cioè anche in questo caso gli idrocolloidi possono dare un enorme aiuto ammorbidendo la fibrina in modo efficace. 

Non è semplice degradare completamente questo tipo di tessuto nelle lesioni più profonde perché in questi casi essa di solito è molto spessa e dura. Ma già dopo un po’ di giorni di trattamento con gli idrocolloidi si ammorbidisce talmente tanto che può essere facilmente staccata dai pareti sani della ferita con un bisturi. 

Ovviamente anche qui vale la regola d’oro: “non allungare il trattamento con gli idrocolloidi oltre al momento di scioglimento del tessuto devitalizzato per non interferire con i processi naturali di guarigione della ferita”. 

Le medicazioni a secco per le LDP profonde come quelle di grado III e IV sono da evitare. In quanto anche queste a loro volta interferiscono con i processi naturali di proliferazione cellulare, asciugando troppo lo strato superficiale del letto della ferita e uccidendo le cellule alla superficie pronte a dividersi. E quindi dopo il debridment il miglior procedimento è sempre con le medicazioni medio umide.

Riassumendo tutto: idrocolloidi sono le medicazioni ideali per il debridment autolitico della ferita, ma devono essere usati con cautela per non interferire con i processi naturali di riparazione tissutale, cioè per i tempi strettamente necessari per ottenere l’aspetto pulito della lesione per poi passare alla fase successiva – rigenerazione, quale presuppone l’utilizzo di altri prodotti.

Inoltre non si deve dimenticare che durante l’estate con le temperature più alte le ferite si surriscaldano di più indipendentemente dal tipo di  medicazione che viene scelta per il loro trattamento e quindi in questo periodo sarebbe opportuno limitare utilizzo di idrocolloidi il più possibile, soprattutto nelle zone a contatto con il pannolone in quanto questo aggiunge ulteriore calore alla pelle sottostante e di conseguenza anche alla ferita.

Come l’ultima osservazione aggiungo che gli idrocolloidi sono le medicazioni sottili perciò devono essere usati con cautela nelle zone del corpo soggette alla maggiore pressione come osso sacro o talloni. Per queste aree la scelta migliore sarebbero le schiume di poliuretano morbide abbinate agli enzimi proteolitici.

In tal modo la medicazione stessa assorbe in parte il fattore pressorio aiutando a non far progredire la LDP verso lo stadio superiore. Idrocolloidi in questi casi consiglierei solo per i periodi brevissimi di tempo (2-3 giorni, non di più), quando serve pulire urgentemente il letto della ferita per il rischio di infezioni (anche con possibile raccolta di pus) nella cavità sottostante.

Concludo con una metafora: “La ferita è come una pianta, necessita della giusta umidità e della giusta quantità di area e luce. Solo così guarisce”.

Dott.ssa Natalia Naydenova

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